I lacci del corsetto che dà il titolo al film (Corsage in originale) comprimono il busto di Elisabetta di Baviera, stringendole la vita, ridisegnandola sino quasi a deformarla. Una costrizione che la affligge al pari delle regole sociali, della vita di corte e di un immaginario opprimente che Marie Kreutzer con Il corsetto dell'imperatrice tenta di scardinare e rifuggire. Non più la Sissi simbolo della Vienna imperiale e candida e radiosa bellezza, così com'è stata consegnata alla storia da innumerevoli ritratti pittorici e cinematografici, bensì una figura irrequieta, malinconica e alla costante ricerca di libertà.
Il film è ambientato tra il 1877 e il 1878, quando Elisabetta (qui interpretata da una bravissima Vicky Krieps) raggiunse la soglia dei 40 anni. Un'età che, come le dice il medico, rappresenta l'aspettativa di vita media, e in cui "una persona si dissolve, si scolora". Aleggia quindi un continuo senso di decadimento e Sissi, come la Lady Diana di Spencer, appare quasi come un fantasma, che si manifesta di rado agli incontri pubblici e che sbiadisce sempre più, estraneo all'ambiente che la circonda e all'immagine a cui la storia e gli uomini attorno a lei vorrebbero che aderisse.
Non ha più 20 anni, quando, le ricorda Francesco Giuseppe, amava la vita di corte, le belle acconciature e gli svaghi, e questa lotta contro il tempo, contro un'immagine ormai irraggiungibile, imposta e ingannevole, si trasforma in una lotta contro il cibo, la bilancia (di nuovo come nel caso di Spencer), il sesso e contro le imposizioni sociali, perseguendo un nuovo sguardo e un nuovo respiro di libertà. Un respiro che ricerca persino sott'acqua, come nella prima scena del film, dove Sissi appare vestita di tutto punto e immersa in una vasca piena d'acqua, nel tentativo di trattenere il respiro per il maggior tempo possibile. Quasi una variante dell'Ophelia di John Everett Millais, in un intreccio tra passione, follia ed evasione, con l'elemento dell'acqua che ritorna poi nel finale.
Attraverso le immagini, i ritratti e il ruolo della percezione, l'atto del guardare e della rappresentazione ritornano in ogni momento del film, con Elisabetta che sottolinea l'importanza di "lasciare una bella immagine" e che al tempo stesso cerca di sfuggire all'immagine che si è perpetuata di lei e che l'ha imbrigliata. Non tanto la riscrittura di un personaggio, quanto una messa a fuoco di una donna realmente complessa, malinconica e anticonformista; sfaccettature limate e dissimulate da sguardi e immaginari illusori che perdurano tuttora.
Nello slancio verso la libertà e verso una riaffermazione iconica, la Sissi di Marie Kreutzer elude i vincoli storici, muovendosi in un'Europa anacronica e atemporale, e si oppone persino all'inquadratura (troppo angusta per lei quando si trova schiacciata contro il soffitto delle proprie stanze, divenuta apparentemente enorme come l'Alice di Lewis Carrol), da cui più di una volta salta all'improvviso fuori. Ma è soprattutto lo sguardo da cui l'imperatrice è ossessionata. Cerca di sfuggire a quello indagatore, omologato e opprimente che l'attanaglia e chiede invece di essere guardata con passione dal cugino Ludovico e dal marito. E se i ritratti e le fotografie non sono più adeguati e capaci di catturare la sua essenza, Sissi si affida piuttosto alle immagini di Louis Le Prince, precursore del cinema.
È proprio attraverso il cinema, quindi, che si possono demolire immagini e concezioni ingannatrici che hanno segnato la nostra società, per crearne di nuove, più stratificate, veritiere ed emancipate, liberando i fantasmi intrappolati nell'immaginario storico e collettivo.