Proiettato per la prima volta nel 1970, a due anni dai violenti scontri del ‘68 che hanno attraversato impetuosamente anche il Giappone, Storia segreta del dopoguerra: dopo la guerra di Tokyo è una delle perle dimenticate di Nagisa Oshima. Grazie allo splendido restauro proiettato in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia è stato possibile riscoprirlo e sottrarlo dall’oblio nel quale giacciono anche altri film della prima fase creativa del regista giapponese.

La traduzione italiana del titolo è fuorviante rispetto a ciò che la pellicola vuole rappresentare e rispetto al senso vero e proprio del titolo originale stesso che affianca il concetto di storia e quello di racconto. La dialettica che si crea tra questi due termini rispecchia esattamente quella delineata nel film, ovvero quello tra realtà e cinema, tra vero e falso, ma anche tra l’immagine e lo sguardo che la produce.

Un gioco di specchi di ispirazione godardiana, frammentario e convulso, che inizia con una corsa furibonda per le strade di Tokyo. Durante una manifestazione uno studente ruba la cinepresa al protagonista, il quale lo insegue in un collage disordinato di inquadrature da angolazioni sempre più impossibili. La fuga continua finché Shoichi (Kazuo Goto), il protagonista, non alza lo sguardo e, con suo sommo stupore, il ladro è in cima ad un palazzo dal quale si getta sfracellandosi al suolo.

Miracolosamente la cinepresa con il materiale raccolto durante il corteo è sopravvissuta alla caduta e Shoichi si precipita a raccoglierla, ma gli viene sottratta, ancora una volta, dalla polizia. Il suicidio del ragazzo è un mistero che Shoichi e Yasuko, compagna della vittima, vogliono a tutti i costi risolvere partendo da un filmato-testamento che riescono a recuperare.

Le immagini che si srotolano loro innanzi sono soltanto paesaggistiche, momenti di quotidianità, strade, cassette della posta, suscitando l’ira di Shoichi che le giudica inutili, e lo stesso pensano tutti i membri del collettivo di cinema militante con cui collabora. Shoichi e Yasuko però si perdono nelle immagini tanto da iniziare a chiedersi se quel ragazzo sia esistito veramente.

All’inizio del film, prima che il ragazzo con la macchina da presa si dia alla fuga, Shoichi gli chiede cosa stia facendo: “perché riprendi? Non c’è nessuno”. Il dato politico per il gruppo militante è un dato soprattutto umano, è necessaria la presenza fisica, l’azione, affinché l’immagine abbia un valore, un po’ da realismo socialista. Invece anche il paesaggio parla, le immagini urbane esprimono da sé le proprie contraddizioni, la violenza estetica della metropoli, le sue scissioni di classe.

Prima ancora di essere un film Storia segreta del dopoguerra è una riflessione sul senso stesso del cinema, sul valore dell’immagine e sul suo rapporto con la realtà. Allo stesso tempo si intreccia con la storia, con l’impotenza e il dogmatismo dei collettivi di sinistra di cui lo stesso Oshima faceva parte. “Leggigli una favola trotzkista” dice a un certo punto, senza ironia, uno dei membri del collettivo a Yasuko per calmare il traumatizzato Shoichi, come se l’arte dovesse essere necessariamente e didatticamente ideologica.

Le immagini assumono vita propria, diventano una traccia mnestica in cui l’oggettività del paesaggio si fonde alla soggettività e il punto di vista si fonde con l’identità dell’autore. Tanto che in una delle scene più iconiche ed erotiche del film Yasuko si spoglia e trasforma il suo corpo in una tela lasciandovi scorrere quelle immagini apparentemente prive di significato e traendone un godimento fisico.

Il corpo femminile diventa una tela, ma, allo stesso tempo, anche un oggetto privato di volontà, abusato e violato gratuitamente in numerose scene da Shoichi e da altri uomini. È un’ombra, come la donna di spalle che ci viene mostrata nel prologo del film sulla quale scorrono i titoli di testa.

Il corpo può essere un’ombra impotente e allo stesso tempo l’ombra sullo schermo può portare ad un piacere fisico, può essere più concreta e materiale del corpo stesso. Qui si compie il capovolgimento dialettico di Storia del dopoguerra, costruzione ambiziosa e radicale, specialmente per il cinema giapponese degli anni ‘70.

Un circonvoluto, caotico e sublime viaggio attraverso quella che sembra essere la coscienza stessa di una nazione, nel quale risuona con prepotenza il difficile momento politico e culturale.