L’ Orso d’oro al XXI Festival di Berlino (l’Orso d’argento andò a Il Decameron di Pier Paolo Pasolini), e il Premio Oscar al miglior film in lingua straniera mettono in evidenza come a suo tempo Il giardino dei Finzi Contini (1970) di Vittorio De Sica ebbe un considerevole trattamento critico all’estero. Molto meno in Italia, sebbene 2 David di Donatello (Miglior film e David speciale a Lino Capolicchio) e 2 Nastri d’argento (a Romolo Valli come miglior attore non protagonista, e alla scenografia curata da Giancarlo Bartolini Salimbeni).
Di converso, la pellicola fu accolta molto bene dal pubblico, decretandone uno dei maggiori successi commerciali di De Sica. A distanza di oltre cinquant’anni dalla sua uscita, il giudizio critico non muta, perché quelle carenze (in particolare la debolezza della trama) rilevate da gran parte della critica nostrana, permangono. Anche se Il giardino dei Finzi Contini rimane, nella terminale fase registica, l’opera più valida, soprattutto per la confezione elegante e una sostanziale sobrietà narrativa.
Adattamento dell’omonimo romanzo di Giorgio Bassani, che fu pubblicato da Einaudi nel 1962, inizialmente doveva essere diretto da Valerio Zurlini, che poi abbandonò. La Documento Film, detentrice dei diritti d’autore sin dal 1963, allora propose la trasposizione a Vittorio De Sica, che accettò di buon grado per risollevare la propria carriera, dopo gli ultimi due fallimentari film: lo sbeffeggiato melodramma Amanti (1968) e lo “storico” I girasoli (1970).
E ne Il giardino dei Finzi Contini si vede lo sforzo di De Sica di realizzare un’opera che potesse dimostrare le sue doti di raffinato metteur en scène, confrontandosi con un testo letterario di valore. I movimenti di macchina e il taglio dell’inquadrature sono rifinite, senza sbavature, quasi fossero sulla elegante scorta stilistica di Luchino Visconti o Mauro Bolognini, in particolare L’assoluto naturale (1969) o Metello (1970). Questa attenzione registica la si può apprezzare nel confronto tra il direttore della biblioteca e Giorgio, oppure nella cupa sequenza dell’arresto della famiglia Finzi Contini. Quello che però funziona meno è l’adattamento.
Del denso romanzo di Bassani, in prima battuta anche co-sceneggiatore (tolse la firma – e fece eliminare il trattino dal titolo per prendere le distanze dal film – per divergenze sull’annacquamento del suo testo), sono stati carpiti soltanto quei momenti elegiaci o drammaturgici che potessero compattare una pellicola di meno di due ore e di facile presa emotiva sul pubblico. Non più una storia sulla rimembranza di un tempo perduto (eliminazione dell’io narrante, che era sito cronologicamente nel 1957), ma un lineare romanzo di formazione, alla vita e soprattutto all’amore, del giovane Giorgio.
In un arco temporale che si svolge dal 1938 al 1943, ossia uno dei periodi più bui del fascismo, tra la promulgazione delle Leggi razziali e le deportazioni degli ebrei. I flashback sono utilizzati soltanto per rievocare i primi approcci sentimentali tra Giorgio e Micol, analessi narrative “proustiane” che rimarcano questa primaria tendenza della trasposizione cinematografica verso una storia d’amore tra un ragazzo e una ragazza di bellezza fisica e spirituale. Oppure, come commemora l’ultima sequenza di flashback, un felice e giocoso passato smorzato dagli inumani fatti storici.
È proprio per questa inclinazione troppo sbilanciata sul versante sentimentale, accentuata da una fotografia curata da Ennio Guarnieri (collaboratore ai sopramenzionati film di Bolognini), che eccede con i flou, che la pellicola perde profondità narrativa, rispetto allo stratificato materiale che offriva il romanzo di Bassani. Ne Il giardino dei Finzi Contini più efficace risulta la parte dedicata alla ricostruzione politica dell’epoca, benché meno sferzante – e ambigua – del coevo Il conformista di Bernardo Bertolucci.
La mano – e le idee critiche – di Ugo Pirro, elemento estraneo e “avulso” nella poetica cinematografica di De Sica, si palesano nel padre di Giorgio, magistralmente interpretato da Romolo Valli. Per inciso, unico personaggio completo del film. Nelle sue battute, sin dalla prima volta che è intento a commentare con la famiglia il giornale che comunica l’entrata in vigore delle Leggi razziali, si ravvisa in lui una lucida e critica visione di quello che sta accadendo in Italia.