Il 2020 è appena iniziato e ha già regalato un grande film di Clint Eastwood, un uomo di cinema completo che, ormai vicino ai novant’anni, si riconferma uno dei massimi autori americani. La sua ultima fatica, questo Richard Jewell, propone una storia tesa, intrisa della delusione di un uomo maltrattato dal sistema che ammira, sacrificato al cinismo delle masse per l’avarizia di spietati produttori di notizie. Accanto a Paul Walter Hauser, azzeccatissimo nel ruolo del protagonista, troviamo un cast di tutto rispetto all’interno del quale spiccano due performance, una ottima e una discutibile: quella di Kathy Bates, capace di rendere profondo e credibile un personaggio scritto in maniera tutt’altro che brillante, e quella di Jon Hamm, decisamente sottotono e ormai, dopo Mad Men, mummificato in ruoli che preferiscono imprigionarlo in un completo elegante che valorizzare il suo talento.
Richard Jewell è l’ultimo tassello di una filmografia coerente e al contempo sempre originale, perché il cinema di Eastwood, pur con tutta una serie di sfumature e variazioni, è prima di tutto un cinema di eroi, di personaggi che incarnano ideali, talvolta discutibili come nel caso di Callaghan, in altri casi struggenti (Million Dollar Baby) ma sempre in grado di rimanere impressi nella memoria per la verità che trasudano. Gli eroi degli ultimi anni di Eastwood sono persone comuni poste in situazioni estreme, figure estrapolate dalla cronaca ed elevate ad esempio di umanità da un grande creatore di miti americani. Jewell non fa eccezione, un uomo talmente fiducioso nella giustizia da sembrare talvolta ingenuo, il cui eroismo diventa motivo d’inquisizione in un sistema corrotto e malizioso, scandalistico prima che investigativo. La visione di Eastwood trapela limpida e viene perfino esibita con una frase scritta alle spalle di Sam Rockwell sul muro del suo ufficio casalingo: “I fear government more than I fear terrorism”. Richard Jewell è pieno di questi piccoli indizi visivi che gli donano risonanza tematica e la regia ci invita ad esplorare lo spazio per scovarli, come l’accostamento di Jewell ad attori del passato mostrati in televisione, che incarnano e contemporaneamente trasferiscono le loro virtù al protagonista.
Un esempio evidente di questo espediente è l’accostamento di Hauser con il volto di James Stewart, l’uomo di buon cuore per antonomasia del cinema classico, che quasi per osmosi gli trasferisce una purezza rassicurante. Volendo leggerlo in chiave citazionista o come rimando cinefilo, il collegamento con Stewart rievoca inoltre un personaggio interpretato da quest’ultimo in un film tematicamente molto simile a Richard Jewell, cioè il Jefferson Smith idealista in lotta contro la burocrazia politica di Mr. Smith va a Washington. Seguendo Eastwood in questo gioco di caccia al dettaglio è possibile notare che l’immagine scelta come locandina del film, rappresentante Jewell inseguito da una processione di giornalisti che lo circondano e assaltano, ricordi la storia biblica della via crucis (similitudine rafforzata dalla presenza effettiva di una croce formata da videocamere alle spalle di Jewell) e che rimandano, più in generale, al tema del martirio dell’innocente. Quella narrata è la vera storia di un linciaggio mediatico mancato, di una giustizia testarda e inquisitoria che cerca di sacrificare un uomo comune per coprire i propri stessi errori.