Presentato nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2024, Il mistero scorre sul fiume di Wei Shujun è un giallo inusuale, un noir rarefatto e sfuggente. Il titolo scelto dalla distribuzione italiana strizza l’occhio al classico di Laughton col quale si potrebbero tessere interessanti parallelismi.

In realtà il titolo originale è lo stesso del racconto da cui il film è tratto, ovvero Errore in riva al fiume di Yu Hua, uno dei più importanti scrittori cinesi. Ed è una serie di errori che viene messa in scena, errori o scelte mal soppesate che lasciano alle spalle del protagonista e della polizia una scia di cadaveri di fronte ai quali sembrano essere impotenti.

Siamo in Cina nel 1990 e, in una zona rurale viene rinvenuto il corpo di una donna anziana. L’ispettore Ma Zhe (Zhu Yilong) è chiamato a svolgere le indagini insieme alla sua divisione, il cui centro operativo, per l’occasione, è stato spostato in un cinema costretto alla chiusura a causa dei pochi incassi. Il primo ed unico sospettato è un uomo mentalmente instabile che la signora aveva deciso di ospitare da ormai diversi anni e definito semplicemente come “il pazzo”.

Il suo scollamento dalla realtà e la sua totale incapacità nell’esprimersi e nel comprendere quel che gli si dice, attributi che lo rendono quasi un animale, distolgono le indagini dalla sua persona e il mistero si fa sempre più intricato. Su Ma Zhe pesano non solo la fretta del partito comunista cinese affinché venga risolto velocemente il caso, ma anche l’orrore che svelerà a poco a poco andando avanti con le indagini. L’irrazionalità di una morte che sopraggiunge all’improvviso e senza alcuna ragione, sospinta da un destino crudele e privo di scrupoli.

Come in uno slasher una lama ricurva avanza verso la vittima in piedi sulla riva di un fiume. Ma a differenza degli slasher la camera non ci mostra il colpo fatale, si rifiuta, si volta da un’altra parte preferendo guardarsi intorno e rivelando una natura ingrigita e turbata che risponde alla violenza con un’acquazzone che sembra un pianto disperato sulle note di una sonata di Schubert. È una scelta che alimenta il mistero, ma che ha anche un significato deciso e specifico.

Il mistero scorre sul fiume lascia appena avvertire la violenza, non la rivela direttamente quasi mai in tutta la sua irruenza, nonostante ciò resta una presenza opprimente che sprizza dall’asperità del paesaggio, dalla decadenza degli edifici, dalla sofferenza dei personaggi. Shujun si immerge nel passato della Cina, ma lo fa a partire dal contorno, spostando l’obiettivo sulla campagna, sulle periferie in cui la presenza dell’industria e del progresso non sono ancora preponderanti.

Il mondo rurale che prende vita nel film è opaco e cova un male incomprensibile e irrazionale che travolge gli individui senza lasciargli scampo. È un male inarrestabile come lo scorrere del fiume e della stessa pellicola.

Non è un caso infatti che l’ufficio di Ma Zhe venga spostato nella sala proiezione di un cinema. Come il proiezionista il valente ispettore non può far altro che avviare il macchinario e osservare impotente le immagini sullo schermo. Allo stesso modo la ragione di ciò che gli succede attorno gli sfugge, i fatti gli si sfilano dalle mani fino a precipitarlo nella follia.

Quelle che sono realmente delle coincidenze devono per forza nascondere un significato, una trama nascosta, dev’esserci un senso. Invece c’è solo l’abisso del caos travestito da destino e a cui, come nelle tragedie greche, l’individuo deve piegarsi, senza poter opporre resistenza.

Il pessimismo cosmico di Shujun riflette la storia della Cina, l’impossibilità di sciogliere, ora come in passato, la coercizione del regime. La violenza del potere pesa dall’alto sulla vita privata dei personaggi, condizionandone i comportamenti, deviandone le scelte di vita. Così tutto appare dominato da un male irrazionale che assume il volto deforme del destino.

Ed è proprio il futuro ad essere chiamato in causa nel finale, quando un bambino, che dovrebbe essere simbolo della speranza, guarda in camera, lanciando a noi spettatori uno sguardo raggelante.