Hayao Miyazaki torna a dirigere un film a dieci anni di distanza da Si alza il vento (2013). Si tratta di una pausa produttiva significativa, quasi a voler concretizzare la dimensione temporale che era protagonista proprio in quel lungometraggio. Eppure, Il ragazzo e l’airone sembra non risentire minimamente del tempo trascorso, per via della sua coerenza tematica e autoriale che lo inserisce perfettamente nella filmografia più recente del regista nipponico. Con quest’opera infatti, Miyazaki chiude la sua personalissima trilogia degli elementi.
Dopo essersi inabissato nelle profondità marine con Ponyo sulla scogliera (2008) e aver scalfito l’Aria con il già citato Si alza il vento, con questo terzo appuntamento l’autore giapponese fa i conti con la Terra, conducendo personaggi e pubblico in un viaggio di formazione (l’ennesimo del suo cinema) mirato a scavare nelle amenità più lugubri del globo, che ben presto diventano metafora della coscienza umana. Si inizia con un terribile incendio (Ponyo sulla scogliera apriva le danze con uno tsunami, Si alza il vento con un terremoto) per poi seguire le avventure del dodicenne Mahito, un novello Alice che più di un Paese delle meraviglie dovrà fare i conti con un Inferno dantesco.
Si chiude quindi un ciclo biologico che ha saputo abbracciare e raccontare le tre diverse fasi della vita (l’infanzia di Ponyo, gli adulti in Si alza il vento e la terza età ora). Miyazaki insiste nel proporre un cinema teorico con un’opera viscerale in cui l’attenzione e l’ossessione per il passaggio di testimone tra diverse generazioni trovano la loro completa maturità sostenute da una regia ancora (dopo tutti questi anni) incredibilmente fluida e innovativa.
Dietro e dentro i fotogrammi concepiti per questi film, c’è un cuore pulsante che non cessa di pompare dell’ottimo cinema. Il senso di meraviglia sembra essere il primo vero obiettivo da raggiungere per Miyazaki: uno stupore in cui far sì che il pubblico possa abbandonarsi tralasciando (si fa per dire) i risvolti narrativi dettati da trame complesse, che richiedono uno sforzo di attenzione non indifferente.
"Quando maturano, volano". Queste le parole che descrivono i warawara (ennesima specie di creature appartenenti alla fauna immaginifica dell’universo Miyazaki). Ma sono le medesime parole che sintetizzano alla perfezione Il ragazzo e l’airone, un film che prende il volo (sia letteralmente che metaforicamente) in un climax costante di maturità cinematografica.
Sembra assurdo affermarlo (e probabilmente lo è), ma ci troviamo di fronte all’ennesima prova di maturità, all’ennesimo gradino percorso da un cineasta di cui pensavamo avessimo già visto e detto tutto: un regista anziano che non smette mai di alimentare il ragazzo che è in lui, incarnando pienamente lo spirito di questo suo ultimo (?) lavoro.