È il 1931. Nonostante il generale oblio che circonda oggi la sua figura, John M. Stahl è un professionista affermato: si è faticosamente costruito una reputazione nell’epoca del muto, e con il suo secondo talkie, Il richiamo dei figli, avvia un’ideale trilogia destinata a completarsi entro il 1933 con La donna proibita e Solo una notte. Tre foschi melodrammi sulle contraddizioni della vita matrimoniale, tre storie di relazioni adulterine che di lì a poco, causa introduzione del codice Hays, sarebbero uscite dal rappresentabile del cinema hollywoodiano.
Per molti anni a venire l’abbandono del tetto coniugale non sarebbe più stato raccontato con toni tanto scevri di moralismo: in questa vicenda di abnegazione femminile l’occhio compassionevole di Stahl si posa con uguale empatia sulla moglie abbandonata e sulla giovane amante, e si astiene astutamente da qualsiasi condanna perbenista alle sue due splendide protagoniste. In fin dei conti, entrambe sono vittime di un uomo scostante e distaccato, la cui personalità stilizzata si contrappone a due ritratti psicologici di grande efficacia: un John Boles volutamente anestetizzato è a tutti gli effetti il villain di un triangolo amoroso popolato da due figure femminili antitetiche ma ugualmente affascinanti, la bionda in carriera Geneviève Tobin e l’angelo del focolare Lois Wilson (ad impreziosire il cast, poi, c’è anche una giovanissima e scoppiettante Bette Davis).
A Novel of Birth Control, il romanzo realista da cui il film è tratto, poggia sulla consueta dicotomia tra intimità domestica e vita mondana, tra paternità e carriera: la vicenda è archetipica e non del tutto priva di stereotipizzazioni, ma fornisce a Stahl materiale sufficiente per mettere a punto il suo stile di regia discreto e trasparente, efficace nel gestire i tempi e i ritmi della narrazione e raffinato nel rendere conto dei più sottili moti dell’anima. Gioie, dolori e rimpianti sono scanditi da lunghi primi piani che rendono giustizia alle interpretazioni misurate ma struggenti di Tobin e Wilson, mentre il racconto intreccia abilmente tenera adesione emotiva e perspicace ironia. Certo, l’ostentato manicheismo delle due donne e la loro disarmante ingenuità possono sembrare esperimenti giovanili di fronte a quei mirabili affreschi umani che sono Lo specchio della vita e Femmina folle: ma se Stahl è diventato un maestro indiscusso del melodramma e un abile conoscitore dell’animo umano, lo dobbiamo anche a questo film seminale, delicato e straordinariamente vitale.