In principio fu il suono: quello forte e sibilante degli aerei sulla piattaforma di osservazione all’aereoporto di Orly. L’inizio sonoro ne La jetée è per lo spettatore-ascoltatore il primo segno acustico di un film in cui non ci sono voci. Si tratta di un photo-roman, ovvero una sequenza di fotografie che raccontano la storia di un uomo e di una donna – avanti e indietro nel tempo – che si svolge durante una fantascientifica era postatomica. Un cortometraggio raccontato attraverso una serie di immagini fisse durante il quale il raccordo di una voce narrante fuori campo evita la deriva ermeneutica: un bambino che osserva una donna durante un incidente all’aereoporto in cui misteriosamente muore un uomo; scienziati che sperimentano il viaggio nel tempo su quel bambino ormai adulto nelle gallerie del Palais de Chaillot, in una Parigi quasi completamente cancellata da un immenso olocausto; quello stesso uomo, ora morto, sotto gli occhi della donna che aveva ritrovato indietro nel tempo e di cui si era innamorato.
Analizzare un film come La jetée dal punto di vista del sonoro significa capirne la struttura del suo meccanismo di fruizione spettatoriale: l’alternanza di voce off, musica, silenzi ed effetti sonori segna un tipo di raccordo tra le immagini che è allo stesso tempo di tipo emotivo (le musiche di Trevor Duncan sottolineano allo spettatore il carattere passionale della scena) e cognitivo (la voce fuori campo funziona come le didascalie all’epoca del muto). Non solo. La dimensione sonora genera movimento nel tempo; in definitiva, ciò di cui ha strutturalmente bisogno un foto-montaggio per essere raccontato al cinema.
Così, la caratterizzazione acustica dei diversi momenti del film viene marcata: la Parigi distrutta dalla terza guerra mondiale è descritta musicalmente da un organo liturgico e da un coro in crescendo (qui l’accumulazione visiva di immagini sempre più desolanti procede parallelamente all’accumulazione sonora di voci); i momenti dell’innamoramento tra i due personaggi è descritto da un accompagnamento non più marcato simbolicamente – la sacralità della musica all’organo aveva descritto uno scenario di morte – ma più vagamente melodico, sempre nel segno della contemporaneità (gli arrangiamenti delle musiche originali sono quelli tipici degli anni Sessanta); gli esperimenti dei sopravvissuti sono sottolineati da silenzi alienanti; gli effetti sonori sono usati sia nel segno dell’ identificazione patemica tra personaggio e spettatore (il rumore del battito di un cuore durante le sperimentazioni), sia nel segno del rimando metaforico (i versi degli uccelli durante il sonno della protagonista riportano all’idea del volo, anche mentale).
Insomma, se la temporalità vissuta è il tema centrale de La jetée, la dimensione sonora – oltre che quella visiva – non fa che rinforzarlo facendolo finalmente sentire.