Celebrato all’ultimo festival di Cannes col documentario di Francesco Zippel Oscar Micheaux – The Superhero of Black Filmmaking, Oscar Micheaux resta tutt’oggi uno dei meno noti eppure essenziali registi statunitensi tra il muto e il sonoro, alfiere del nascente cinema afroamericano. Figura emblematica e di riferimento per generazioni di registi neri a venire (in primis Melvin Van Peebles e Spike Lee) che faranno del suo un prezioso insegnamento in nome di quell’autonomia creativa alla base del cinema indipendente, Micheaux è scrittore, sceneggiatore, produttore, regista, montatore e distributore dei suoi film, anticipando di decenni il concetto di autore cinematografico, responsabile unico della propria opera di cui segue direttamente ogni fase esecutiva.
Figlio di ex-schiavi e autodidatta con la vocazione per l’imprenditoria, nel 1918 fonda la Micheaux Film and Book Company, tra le più avanzate e stabili case di produzione di film con e sui neri di cui racconta una realtà complessa e affatto stereotipata. Ne sono esempi The Homesteader (1919) il primo a portare sullo schermo l’amore di un afroamericano per una bianca, Within Our Gates (1920) dura risposta a Nascita di una nazione, The Symbol of the Unconquered (1920) o Body and Soul (1924 e 1925) opere che, oltre a lanciare i rispettivi attori in forme analoghe a quelle del divismo hollywoodiano, si faranno manifesto di quell’orgoglio nero che si svilupperà poi nei decenni successivi.
Micheaux è l’unico produttore nero a passare indenne al sonoro, continuando una produzione di qualità pur se di nicchia fino al 1948 con un catalogo complessivo di circa 50 titoli, molti dei quali andati perduti per incuria o scarsa qualità dei supporti. Murder in Harlem (1935) segna una delle vette del cinema sonoro dell’autore; remake del proprio The Gunsaulus Mistery di una decina di anni prima, il film ricostruisce un noto fatto di cronaca di inizio secolo che vede una guardiano notturno nero accusato ingiustamente dell’omicidio di una giovane dipendente bianca.
Il film sorprende per l’elevata capacità tecnica, caratterizzata da commistione di generi, suspense costante e una complessità narrativa giocata sull’alternarsi di piani temporali e una pluralità di voci che solo collegate tra loro danno la soluzione del caso, come in molti noir che dalla metà degli anni Quaranta verranno a raccontare la faccia più oscura dell’America.
Ma in Micheaux non manca mai la questione razziale che latente o meno segna il vivere della comunità nera su suolo nazionale. Sorprendere la denuncia esplicita degli atteggiamenti razzisti di istituzioni e media, subito pronti a schierarsi contro l’accusato per illazioni non provate sul suo conto. Non meglio ne esce la comunità afroamericana, rappresentata con toni ben poco beatificanti: accanto alla figura etica dell’avvocato determinato a salvare l’uomo in nome della fratellanza etnica che li unisce, se ne aggiungono altre ben diverse di donne facili, rapinatori e soprattutto l’addetto alle pulizie ben disposto a coprire l’assassino per un po’ di soldi.
Alla luce di questi elementi non stupiscono le parole di Zippel sull’opera e il suo autore: “un miracolo artistico e imprenditoriale concepito da un uomo dall’incredibile intuito e dalla sorprendente capacità di superare gli ostacoli che la società del tempo poneva lungo la sua strada”, esempio pratico del contemporaneo new negro di Alain Locke.