L'île de Mai di Jacques Kébadian e Michel Andrieu è un vero e proprio documento storico, unico e straordinario, frutto di un cinema inteso come “arma della cultura”. Utilizzando come fonti autentiche filmati amatoriali di giovani cineasti, coinvolti fisicamente negli scontri, a faccia a faccia con la polizia militare, i due registi sono riusciti a creare un film di inestimabile valore storico e sociale.
Dall’occupazione della Sorbonne avvenuta il 6 maggio del 1968, passando per le sequenze che immortalano le brasserie in fiamme, dalla violenza inaudita della CRS (la polizia di stato) nel quartiere latino, fino alle immagini degli scioperi dei lavoratori nelle fabbriche parigine, il documentario raccoglie trasversalmente una serie di testimonianze eccezionali di persone e di luoghi comuni – e proprio per questo storici – capaci di evocare, a cinquant’anni di distanza, nuove considerazioni sull’anno delle contestazioni.
La voce ferma e sicura di una ragazza seduta tra i banchi di un comitato studentesco risuona: “La parola riforma non ha senso, la parola giusta è rivoluzione!”, e a tutti i costi. Per questo la proiezione del documentario è stata preceduta dal Cinétract dedicato alla memoria del giovane studente Gilles Tautin “Morto per la causa del Popolo”.
Il lungo e sapiente lavoro di montaggio parte quindi dal contesto studentesco, dalle marce di protesta degli universitari, per poi attraversare gli interstizi sociali intaccati dal malcontento. Si arriva a indagare le dinamiche degli scioperi degli operai nelle fabbriche, dalla Citroen alla Renault, per poi documentare la non sempre reciproca solidarietà tra i lavoratori e gli studenti nel sostenere una protesta comune. Infine, ci si sofferma sui comizi al di fuori delle aziende, e le macchine da presa di Kébadian, di Andrieu e dei loro compagni si interessano ai volti, alle storie dei singoli che raccontano le loro considerazioni su un periodo di vero fervore sociale.
“Si aveva l’impressione che fosse il momento in cui il mondo poteva cambiare davvero. Si sentiva nell’aria.” Michel Andrieu commenta così la proiezione del documentario, che sul finale mostra il nervo scoperto degli scioperi: le discordie tra proprietari delle fabbriche e operai, tra operai che volevano tornare al lavoro – specie i lavoratori immigrati, con tutti i loro timori – e quelli che rivendicavano maggiori diritti, che avrebbero voluto continuare la protesta, nella speranza di un futuro migliore che accontentasse tutti, non le piccole comodità quotidiane dei singoli. C’è una sequenza meravigliosa in cui un padre di famiglia pronuncia queste parole: “La vera cosa importante è il futuro: sarò contento se mio figlio un giorno mi dirà: ‘Papà, sei un idiota! Questo modo di pensare è sbagliato.’”