Xavier Giannoli dirige un progetto ambizioso, un’opera sulla nascita del capitalismo e sulla corruzione della stampa, il dramma di un giovane scrittore ingenuo, costretto ad abbandonare le sue illusioni e le sue ambizioni letterarie per avere successo. Illusions Perdues è l’ultimo lavoro di Giannoli che decide di tradurre il romanzo pubblicato in tre parti di Honoré de Balzac, riprendendo il secondo, Un grande uomo di provincia a Parigi.
È una voce fuori campo quasi perpetua che accompagna personaggio e spettatore dentro la vertigine immaginifica, lo stupore che conquistano Lucien appena arrivato a Parigi. C’è rispetto per l’opera, per la parola, una costruzione precisa degli intenti e delle atmosfere del romanzo. L’anatomia spietata di Balzac delle tentazioni della fama e della corruzione del mondo dell’informazione evidenzia la disgregazione familiare, e sociale, l’intrigo, la speculazione degli uomini, in una Parigi sfavillante dei teatri e dei salotti sfarzosi.
Il protagonista Lucien è un enfant du siècle costretto a doversi confrontare tra la provincia e Parigi, tra la sua ingenuità, il suo idealismo, e la dura legge della città, capitalistica, mercificata, che lo renderà un parvenu, un personaggio fragile, vittima e testimone del suo tempo. Lucien è un giovane poeta sconosciuto nella Francia del XIX secolo che nutre grandi speranze e tenta la sorte a Parigi; partendo da Angouleme, scopre a proprio discapito le macchinazioni in atto in un mondo che ubbidisce alla legge del profitto e della simulazione.
Xavier Giannoli dirige un brillante film in costume, e di metafisica dei costumi, con una tessitura sontuosa di immagini e parole, che ricalca le atmosfere balzachiane vulcaniche e realistiche, riuscendo a ritrarre l’umanità nella sua forma più infida, e nitida, senza consolazioni o iperboli: ed è la realtà a prendere forma, come somma di verità singole, mistificazioni e simonie. La ricostruzione storica è molto accurata, e ci lascia immergere nella vita frenetica di Parigi sotto la Restaurazione, quando la società francese cercava di dimenticare le guerre imperiali, preferendo distrarsi la sera all'opera, a teatro, nel saloni. Se la forma del suo lavoro è perfettamente classica, il contenuto è incredibilmente moderno.
Quasi due secoli dopo, Balzac parla alla nostra contemporaneità e del nostro tempo, rivelando la matrice del mondo moderno, la legge del profitto. Quel che resta ai nostri occhi è un grandioso affresco della società francese del XIX secolo in cui, come scriveva Balzac, "Non basta essere un uomo, bisogna essere un sistema”. Il protagonista intraprende il suo percorso, il suo viaggio, che è tutt’altro che il viaggio dell’eroe ma un itinerario di autodistruzione, poiché lui lascia la sua piccola città per tornare poi deluso, annichilito e senza successo: Lucien non è un personaggio eroico, piuttosto un personaggio complesso traboccante di caratteristiche buone e cattive.
Se c’è una sensazione che accompagna la narrazione è un manicheismo strutturale alla base della storia stessa: tutti i personaggi sono colti ed edificati sulle polarizzazioni e le dicotomie, le stesse che accompagnano e abitano il romanzo, dualismi evidenti come campagna-città, ingenuità-furbizia, purezza-corruzione, povertà-lusso. Tra questi fuochi, il protagonista partecipa con mimetismo, riuscendo abilmente ad abitare il paradosso, con la sua indolenza, con il suo camaleontismo, ulteriore particolare che lo lega a doppio nodo con la nostra contemporaneità.
Tra gli elementi che fortificano la resa visiva dell’opera di Giannoli è un cast in stato di grazia, tra cui Benjamin Voisin (visto di recente in Estate '85 di François Ozon), Xavier Dolan e Gérard Depardieu, e una grammatica inventiva, impreziosita da una lingua sinuosa, che non rassicura affatto lo spettatore sul fatto che le parole costruiscono un mondo spesso affollato di zone luminose e zone più ambigue, di fantasmi, idee, visioni, imbrogli, un mondo “simile a quello che si dipana quotidianamente sotto i nostri occhi”.
Xavier Giannoli mostra con grande abilità come il protagonista si trovi a dovere convivere con un sistema che si regge sulla corruzione, e come Lucien da inossidabile romantico, idealista, uno scrittore di poesie, diventi un giornalista che si vende al miglior offerente, al servizio della pubblicità, della visibilità, delle ostilità da copertina, dei dissing ante litteram che ottemperano diversi scopi, la notorietà e la pubblicazione. Il processo di disillusione che attraversa Lucien - pur non diventando mai veramente cinico, non avendo la profondità per farlo - è sempre più vivido e presente, un processo che approda in un’opera monumentale, la Comédie humaine, e una trasposizione precisa sia esteticamente che concettualmente.