L’irascibile sceneggiatore cinematografico Dixon Steele (Humphrey Bogart), un tempo maggiore dell’esercito, si trova ad affrontare un periodo di crisi creativa, con la convinzione che presto riuscirà a scrivere un ottimo film. Dopo una serata passata insieme alla guardarobiera Mildred Atkinson (Martha Stewart), facendosi raccontare la trama avvincente di un romanzo, Mildred viene trovata assassinata e i sospetti ricadono immediatamente su di lui.
Una vicina, Laurel Gray (Gloria Grahame), interrogata dalla polizia confermerà il suo alibi scagionandolo provvisoriamente ed esprimendo un interesse sentimentale nei suoi confronti. Il fragile e precoce idillio crollerà presto, adombrato dai dubbi di Laurel e dall’atteggiamento schizoide di Dix, rabbioso e sostanzialmente incapace di amare o provare fiducia.
Una luce orizzontale si schianta letteralmente sugli zigomi di Dix, lasciando in ombra la parte restante del volto, quando con minuzia e precisione descrive ipoteticamente il momento dell’omicidio inscenato dall’agente Brub Nicolai (Frank Lovejoy) e sua moglie. Gli occhi di Borgart sono di ghiaccio, digrigna i denti in una smorfia crudele, raccontando con intensità e trasporto la furia omicida con una strana eccitazione e soddisfazione violenta.
Nicholas Ray, grazie alla superba interpretazione di Humphrey Bogart, mette in scena un personaggio ambiguo, del quale lo spettatore non saprà mai nulla fino in fondo, se non un’innata brutalità. Dixon è un personaggio in cerca di una stabilità risolutiva che però gli è costitutivamente preclusa. Non si tratta di un uomo alla ricerca di un’identità – che è invece ben definita, seppure scissa e anormale, tipica di chi soffre di un disturbo psicologico – bensì alla ricerca di una stabilità esterna capace di arginare i suoi feroci squilibri e di alleviare dolori ignoti di un ego violento. In a Lonely Place è un luogo dell’anima, dove ci si ritrova a fare i conti con se stessi, con i propri dubbi, i timori e le incertezze.
“Sapevi che era dinamite! Deve pur esplodere ogni tanto” dice Mel Lippmann (Art Smith), l’agente di Dixon a Laurel in preda alle lacrime, combattuta tra i dubbi sulla sua innocenza e l’istinto a fuggire ed evitare il frettoloso matrimonio. A poco varrà venire a sapere che l’assassino di Mildred è un altro uomo; la rabbiosa ossessione di Dix si è ormai già consumata in una violenta aggressione ai danni della povera Laurel, che disperata e tra le lacrime non potrà che dirsi “vissuta nelle sole poche settimane in cui Dix l’ha amata”.