In occasione dell’incontro con Kyle Eastwood la Cineteca di Bologna ripropone Gran Torino. La splendida colonna sonora minimalista è firmata da Kyle Eastwood, figlio di Clint, noto musicista jazz e compositore, e Michael Stevens (autori anche delle musiche di Lettere da Iwo Jima e Invictus). Eastwood, che in serata si esibirà al Paradiso Jazz di San Lazzaro, ha inoltre collaborato alle colonne sonore di Mystic River, Million Dollar Baby, Flags of Our Fathers e J. Edgar, composte dal padre. Nella foto, il perché del talento famigliare.

Una Gran Torino del 1972 fastback con motore cobra jet da pulire ed esibire in giardino. Tra una sorsata e l’altra di birra spunta fuori il ghigno del combattente che ha dovuto sterminare suo malgrado tanti “musi gialli” in Corea, con gli occhi ben puntati sulla bandiera americana sventolante e le mani nodose ben salde sul trofeo su ruote. Walter Kowalski non ha simpatie per il mondo e rimane confinato nuovamente in trincea, tra le barricate domestiche che lo tengono a debita distanza dagli odiati vicini di etnia hmong. Superata la paura del diverso, Walt fa amicizia con Thao e sua sorella, subito dopo aver scongiurato il furto dell’amata auto da parte di una gang di quartiere.

Clint Eastwood si può considerare “corpo musicale” vivente a partire dal 1971, anno in cui la sua figura viene modellata dalle partiture di Lalo Schifrin in Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo. Prima di immergersi nella San Francisco cupa e violenta, il texano dagli occhi di ghiaccio era divenuto una vera e propria icona grazie al fischio di Ennio Morricone cucitogli su viso e speroni nel selvaggio West. Ma il 1971 è anche l’anno d’esordio nel lungometraggio con Brivido nella notte e, da allora, per il regista si è profilato una lungo percorso che lo ha elevato al rango di ispirato cineasta-musicista.

Al servizio del suo stile classico, la musica si trasforma sempre più in un raffinato lavoro di cesello che, tra contrappunti emotivi e variazioni sul tema, scava nelle profondità dell’animo dei personaggi tormentati con semplicità e umana grazia non lasciando nemmeno il più marginale senza una codifica sottotraccia a far risaltare la sua identità e i suoi tratti distintivi. È quello che accade in Gran Torino, parabola umanistica in cui il mito americano agonizza in una giungla d’asfalto nutrita di pregiudizi e scontri etnici.

Il lavoro di orchestrazione è affidato questa volta a Kyle Eastwood e a Michael Stevens, autori di una colonna sonora che declina il main theme della struggente ballad interpretata da Jamie Cullum in arrangiamenti transitanti dall’intimismo del pianoforte e degli archi alla tensione costruita con i tamburi. Non un requiem né un commiato, ma un veemente atto d’accusa che detona con più forza di una 44 Magnum, realizzando la catarsi del reduce impastato di risentimento e disillusione per costruire un “mondo perfetto” di integrazione sociale e solidarietà. Chissà, forse molti dei capolavori degli anni Duemila non sarebbero mai nati se Eastwood ed Lennie Niehaus, ex compagno di guerra in Corea ed eclettico sassofonista di ascendenza parkeriana non si fossero ritrovati per Bird, il film su Charlie Parker che aveva allontanato i morsi di una guerra disastrosa con la potenza senza confini del jazz.

Associazione culturale Leitmovie