Fotografie, diapositive, ritagli di giornale: carta ingiallita e pellicole consunte che trascendono la loro stessa deperibilità per farsi testimoni della Storia, privata e pubblica. Io sono ancora qui di Walter Salles si articola su questa divisione, ma soprattutto sulla sua cancellazione: nel racconto della famiglia di Rubens Paiva, ex deputato laburista e desaparecido vittima della dittatura militare del Brasile degli anni Settanta, i confini tra individuale e collettivo, tra la sfera dell’intimo e del politico, si fanno fragili, porosi.
La memoria familiare diventa il campo di forze in cui il regime totalitario si svela in tutta la sua crudele pervasività: l’irruzione della violenza di Stato nella famiglia Paiva crea vuoti incolmabili, assenze impossibili da enunciare e morti senza lutto, sospese in un non detto imposto dall’alto. Alla musica che risuonava ogni sera nelle stanze della casa di Rio si sostituisce un simulacro di vita normale in cui la verità pervade ogni tentativo di narrazione ma non riesce mai a prendere davvero corpo: i cinque figli di Rubens crescono nell’assenza del padre ma senza poterne piangere la morte, privati del diritto essenziale di onorare il proprio dolore.
Io sono ancora qui restituisce la complessità umana e politica del trauma delle famiglie dei desaparecidos costruendo un percorso di immagini che si deteriorano: dai momenti felici dei Paiva prima della detenzione e dell’uccisione di Rubens, rappresentati da fotografie e rulli di pellicola bruciati, fino alla brusca discesa negli inferi delle prigioni militari dove Eunice Paiva e la figlia Eliana vengono detenute e interrogate.
Da quel momento anche l’immagine filmica cambia profondamente: dai colori caldi dei filmati che immortalano i momenti felici della famiglia in un tempo quasi idilliaco si passa a un’immagine dominata dall’oscurità e da contrasti netti che restituiscono la dolorosa concretezza della grande ferita che segnerà il Brasile per i decenni successivi. Io sono ancora qui individua come filo conduttore di questa storia che si dipana dal 1970 fino al 2014 proprio la figura di Eunice Paiva, interpretata da una magistrale Fernanda Torres, che attraverso il suo corpo attoriale racconta la lotta di una donna determinata a riportare a galla la verità, a raccoglierne gli stralci e difenderli dalla minaccia del silenzio e dell’oblio.
L’interpretazione di Torres è profondamente corporea: la sua Eunice scava nel muro della prigione fino a farsi sanguinare le unghie e si strofina con foga la pelle per cancellare i segni fisici lasciati dalla tirannia. L’assenza di Rubens assume consistenza attraverso la presenza fisica di Eunice che si ritrova a raccogliere i pezzi, a ricomporre il dolore e a lottare per poterlo raccontare ai figli e al mondo. Attraverso la vicenda di Rubens Paiva e della lotta di Eunice Io sono ancora qui riporta al centro la valenza politica del lutto: il lutto è la narrazione della morte e la salvezza di una vita dall’oblio, e quella stessa narrazione contiene in sé il riconoscimento di un’esistenza e l’elaborazione dell’assenza.
Chi decide quali sono i morti che meritano di essere ricordati? Che cosa succede quando chi è al potere decide a chi accordare il diritto al lutto e a chi negarlo? Nella storia del Brasile riportata da Io sono ancora qui si trovano alcune possibili risposte, ma senza dimenticare il fatto che molti di questi quesiti siano ancora aperti, e in quanto tali ancora dolorosamente vivi e intrecciati al tempo presente: come ci ricorda sul finale, al sofferto riconoscimento di queste morti non è seguita nessuna condanna. Morti senza lutto e senza colpevoli.