Da un lato, Greta Garbo, Joseph Stalin, Charlie Chaplin, Benito Mussolini, il kaiser Guglielmo II, Buster Keaton, Marlene Dietrich, i fratelli Wright, Franklin Delano Roosevelt, Harold Lloyd e, naturalmente, Adolf Hitler. Dall'altro, i personaggi di un film ambientato in "Cinesia" iniziano una battaglia a colpi di sedie che subito coinvolge gli spettatori, in un crescendo apocalittico degno delle più furiose "battaglie del secolo" combattute con le armi delle torte in faccia nella migliore tradizione della slapstick. I primi sono solo alcuni dei personaggi celebri e, nel bene come nel male, iconici che appaiono in Herrliche zeiten (1949) di Gūnter Neumann e Erik Ode, mentre la seconda è una delle sequenze più significative e vivaci di Der Große Mandarin (1949) di Karl Heinz Stroux; cioè, i due film più bizzarri e folli presentati nella sezione dedicata al cinema della Trizona. Due film che, in qualche modo e in maniera differente, sembrano partire dal presupposto che è inutile raccontare una storia se si vuole capire la Storia, soprattutto in momenti indefinibili e complessi come quelli coevi o dolorosi come quelli appena trascorsi. È meglio accantonare la linearità e l'immediatezza narrativa e cercare un approccio più liquido e libero di vagare tra i significati nascosti e i dubbi e le paure che emergono.
Per avere una prima idea di cosa è stato Herrliche zeiten (Tempi magnifici) possiamo pensare, con uno di quei collegamenti mentali che uniscono opere ed epoche diverse, alla storica trasmissione di Enrico Ghezzi Blob. Il film di Neumann e Ode è un girandola di immagini di repertorio, film, cinegiornali, spettacoli di varietà e spezzoni di vario tipo che riassumono il novecento tedesco fino al secondo dopoguerra. Questo zibaldone audiovisivo è accompagnato dalla voce narrante di August Schultze, "uomo qualunque"che commenta e vive, come in presa diretta, i fatti che vediamo, quelli della storia con la esse maiuscola e quelli del costume quotidiano e delle sue evoluzioni. Gli spezzoni sono montati e associati in maniera ironica, così come sbeffeggiante è il rapporto tra immagine e suono. Allo stesso modo, non mancano spezzoni doppiati in maniera altrettanto sarcastica, come quando vengono messe in bocca a esponenti dell'alta aristocrazia di inizio secolo frasi assolutamente qualunquiste sui socialdemocratici. Per fare un esempio del valore di controcanto sardonico dei numerosi riferimenti cinematografici e culturali, Charlot che, alla ricerca di cibo, lotta con un più che paffuto borghese accompagna l'illusione di una rinascita e del benessere promesso dalla Repubblica di Weimar.
I commenti di Schultze, come accennato esponente dell'uomo comune, sono all'insegna del "Signora mia"; c'è la fiducia verso le promesse più scintillanti e le illusioni più luccicanti, la sfiducia mista a conservatorismo nei confronti delle innovazioni tecniche e culturali – per lui né le automobili né il cinema possono avere futuro -, i momentanei cedimenti al fascino delle maniere forti – "Magari anche in Germania ci fosse un uomo forte come Mussolini!" -, e la sottovalutazione del pericolo – "Hitler non durerà un mese". Schultze in fin dei conti non ne azzecca mezza, contraddicendosi se necessario e rimanendo sempre sicuro e pomposo nelle sue certezze e conclusioni, almeno fino a quando non rimangono solo le macerie. Così, Herrliche zeiten non diventa solo un compendio di immagini che documentano e ironizzano sui grandi protagonisti e sui fatti importanti, ma anche, attraverso le parole della voce narrante, un bigino del comportamento complessivo avuto nella prima parte del XX secolo dalla maggioranza silenziosa; delle sue illusioni, delle sue speranze, dei suoi errori e degli atteggiamenti che hanno fatto da tappeto a tutto ciò che è accaduto. Il film così non lesina e non cela frecciate e cattiverie, con le quali mettere di fronte la nazione alle proprie responsabilità e ad alcuni suoi valori e caratteristiche che resistono nei decenni.
Il sarcasmo e l'ironia sono, del resto, distribuite in maniera varia e generosa, come nelle sequenze in cui si afferma che le opposizioni al nazismo sono all'erta e vediamo due uomini su una barca che, non coordinandosi, fanno sì che il mezzo giri continuamente intorno a se stesso; oppure come nei gustosi momenti in cui uomini che giocano a golf o che guardano una corsa automobilistica sottolineano l'impegno che Inghilterra, Francia e altre nazioni mettevano per contrastare l'ascesa del nazismo. Nell'ultima parte il tono diventa più mesto e le parole spariscono di fronte alla macerie del dopoguerra, l'ironia lascia per un attimo il campo alla rassegnazione e allo sgomento, e anche Schultze, il quale già iniziava a perdere certezze man mano che Hitler aumentava il suo potere, ammette di avere sbagliato qualcosa, che la colpa è stata anche di tutto il popolo tedesco; che però non è cattivo, è solo, per così dire, vittima delle proprie illusioni e delle aspettative enormi offerte.
L'accusa ironica e di costume convive quindi, nel finale, se non con l'assoluzione, perlomeno con la comprensione e la vicinanza. Così, Herrliche zeiten appare oggi, tra le altre cose, come una sorta di analisi dove attraverso l'ironia e il sarcasmo ribollono i sensi di colpa e la necessità della loro rielaborazione, inserendosi in qualche modo in quel gruppo di commedie di cui abbiamo già parlato in queste pagine che, tra le altre cose, si ponevano anche di lanciare un messaggio sbeffeggiando passato e presente per segnare la strada per il futuro.
Der Große Mandarin (1949) di Karl Heinz Stroux è invece un puro e folle esempio di metacinema in cui gli attori di una film ambientato in Cinesia, una terra che di cinese ha solo i codini e l'oppio e che per tutto il resto assomiglia alla Germania, immediatamente dialogano con gli spettatori, avvisandoli che probabilmente la vicenda sarebbe diventata complessa, discutendo con loro, facendosi anche prestare i vestiti e interagendo poi spesso nel corso della "narrazione". Assistiamo quindi in un certo senso ad un film che nasce e cresce in itinere, in cui gli attori diventano lo specchio degli spettatori. Almeno tre sono le tematiche che rafforzano questo aspetto dello specchio e questo continuo rimando tra quella che nel film sarebbe la finzione e quella che invece sarebbe la realtà, e che a sua volta lega la commedia alla "realtà vera"; il mercato nero, il disagio nei confronti dei reduci considerati fastidiose testimonianze del recente passato e la paura di una nuova deriva autoritaria, a cui si lega la tematica delle differenze e delle relazioni di genere. Ad allontanare il pericolo di nuovi poteri troppo forti, infatti le donne fondano un partito e, sotto l'egida del saggio "Il Grande Mandarino" – il Deus Ex Machina di tutto ciò che accade -, ottengono la conquista di poter governare, con i suoi pro e i suoi contro, come gli uomini.
Commentate in presa diretta dagli spettatori protagonisti di schermaglie e di tifo da stadio, sia che si riconoscano con orgoglio sia che vengano colti sul vivo delle proprie debolezze e delle proprie macchie, la campagna elettorale e la corsa alle elezioni trasmettono una furia crescente che si esprime nel ritmo sempre più vivace e nel graduale passaggio in territori vicini alla comicità slapstick. Il punto di arrivo di questo climax comico, ritmico e delle rivendicazioni ( con tutto ciò che queste portano con sé a livello metaforico ) è proprio l'apocalittica battaglia a suon di sediate che abbiamo accennato a inizio articolo, a cui segue l'intervento risolutore ed "educativo", ancora una volta per i personaggi tanto quanto per gli spettatori, del Grande Mandarino.
Il film di Stroux vive, per così dire, di un "disordine organizzato" nel quale i messaggi e la satira arrivano con assoluta chiarezza e soprattutto nel quale viene dichiarata fin dall'inizio e ribadita continuamente dalla cornice nonsense e bizzaramente meta-cinematografica l'approccio e l'aderenza alla complessità del contesto postbellico della Germania ancora divisa e sotto il controllo straniero e delle eredità del suo recente passato. Non serve il realismo e non basta una storia lineare e tradizionale per raccontare davvero il caos che è e che è stato, sembrano volerci dire tanto Stroux e i suoi sceneggiatori quanto Neumann con la girandola di immagini, associazioni, legami e bersagli di Herrliche zeiten.