Ci sono personalità nel cinema muto che spuntano all’improvviso e poco dopo scompaiono misteriosamente nel nulla senza lasciare traccia. “Astrea… Astrea è forte, audace e agile, una donna di primo livello e allo stesso tempo un’elegante signora” ("La Rivista Cinematografica"). Non si sa praticamente niente dell’attrice appartenente al filone italiano delle forzute, risposta un po’ tardiva alla ben più nota corrente statunitense capitanata da Pearl White, dove appaiono qua e là nomi come Linda Albertini, Ethel Joyce, Gisa-Liana Doria e Piera Bouvier. Forse nobildonna veneziana, Astrea appare in qualche fotografia sulle riviste d’epoca e in quattro film, uno intitolato La Riscossa delle maschere (Leopoldo Carlucci, 1919) e tre diretti da Ferdinand Guillaume alias Polidor/Tontolini Justitia (1919), L’Ultima fiaba (1920) e I Creatori dell’impossibile (1921), dopodiché di lei non si hanno più notizie, tantomeno dati biografici.
Detto ciò, non si possono che fare considerazioni solo con la visione di L’ultima fiaba e di Justitia, quest’ultimo di grande successo mondiale in Spagna, in Olanda e addirittura in Australia, successo che permette ad Astrea di farsi conoscere al grande pubblico. La trilogia diretta da Guillaume, qui nei panni del fedele Birillo, servitore comico e ingenuo della principessa Astrea/Justitia, segue le avventure di una paladina del bene, il cui compito è ristabilire l’equilibrio della storia, punendo a suon di cazzotti e prese degne di un pluripremiato lottatore olimpico, chi osa ostacolare la felicità di chi le è più caro.
Astrea non teme di saltare giù da una ripidissima cascata guidando un’automobile che rischia di esplodere, tantomeno non si tira indietro alla lotta contro cinque banditi su un ponte mobile, l’importante è che tutte queste rocambolesche azioni siano dettate dall’astuzia e non dal caso, sempre con l’aiuto del fido Birillo, che sarà anche un po’tonto, ma fa di tutto per prestare soccorso della sua amata padrona. Sconfitto il nemico, appeso ad un palo come un salame, Justitia torna ad indossare i panni dell’elegante signorina Astrea e come se nulla fosse accaduto, si ritira nell’ombra, sorridendo alla vista del lieto fine e della felicità dei suoi amici che ora possono finalmente congiungersi in matrimonio.
Con questi pochissimi film di cui ora siamo a conoscenza, Astrea contribuisce ad estendere l’idea di una femminilità tosta e intrepida che conserva però ancora quel tocco di garbo e classe, tutte qualità in cui le donne spettatrici nei cinema italiani dei primi anni Venti possono forse rispecchiarsi per poi sognare un po’di più.