A partire da La favorita il cinema di Yorgos Lanthimos ha preso una piega molto accondiscendente rispetto ai gusti nel pubblico, evidente soprattutto nel successivo e recente Povere creature. Kinds of Kindness, annunciato ingenuamente come un film minore e di poco conto, spezza, invece, questa tendenza mostrando di nuovo l’identità del regista greco senza compromessi, quel pessimismo totalizzante e cinico che ha contraddistinto le sue opere fino a Il sacrificio del cervo sacro del 2017. La scelta di tornare a lavorare con il suo collaboratore storico, lo sceneggiatore Efthymis Filippou, ne è un sintomo chiaro e la durata debordante di quasi tre ore dà l’impressione di un atavico bisogno di esprimersi in maniera autentica.
Il film è diviso in tre episodi legati tra loro dalle azioni irrilevanti di RMF, un personaggio secondario ma ricorrente, che compare sempre nel momento in cui l’azione si capovolge. I tre momenti in cui è divisa la pellicola sono recitati dagli stessi attori in ruoli diversi, tra cui spiccano Jesse Plemons per i protagonisti maschili e Emma Stone per quelli femminili.
Nel primo episodio una sorta di impiegato, la cui vita è interamente programmata da un misterioso e potente datore di lavoro, precipita nella disperazione nel momento in cui si trova costretto a prendere decisioni da solo. Nel secondo assistiamo alla sofferenza di un poliziotto convinto di aver perso la moglie in un naufragio avvenuto durante una ricerca scientifica in mezzo all’oceano, ma che, quando questa fa ritorno a casa, si convince sia stata rimpiazzata da un sosia e di essere vittima di un complotto. Nel terzo, infine, due membri di una setta vanno in giro per gli Stati Uniti alla ricerca di una donna capace di resuscitare i morti.
A unire questi tre racconti di lucido delirio c’è sicuramente la costante della figura paterna: il datore di lavoro nel primo episodio, il marito nel secondo e il capo della setta nel terzo. Si tratta di personaggi maschili contemporaneamente autoritari e premurosi, sempre pronti a sottoporre i loro amanti a vili ricatti emotivi e ad escluderli dal loro affetto al primo errore commesso. Persino nel secondo episodio, che sembra un’eccezione rispetto agli altri due, il meccanismo è il medesimo.
Infatti, quando Daniel si rende conto che la moglie Liz, sopravvissuta al naufragio, ha delle leggere difformità rispetto all’immagine che aveva di lei nella sua memoria non perde tempo a rifiutarla e a costringerla a compiere azioni orribili. Allo stesso tempo il complicato rapporto con questo super io ingombrante pone i personaggi su un piano inclinato che li fa scivolare sempre più velocemente in una spirale di dolore e violenza.
In Kinds of Kindness Lanthimos non solo riprende i suoi temi preferiti, ma li sviluppa, vi aggiunge un tassello che non si evince soltanto dallo stile, che adesso ha come modello soprattutto Fassbinder più che Kubrick, ma dalla presenza ingombrante dell’ironia. Un’ironia che non è tragica come quella “morale” dei fratelli Coen, ma uno strumento spietato con cui il regista si prende gioco dei personaggi e dell’umanità che essi rappresentano.
Il loro destino è già segnato, già inquadrato nelle fredde scelte formali di fotografia, caratterizzate da una rigidità metallica in cui la musica elettronica sembra rimbombare. Sweet Dreams degli Eurythmics, che accompagna i titoli di testa per poi venire confinata all’interno di un’auto anonima, è forse una metafora di ciò. Musica simbolo di libertà e sfrenatezza che nell’istante di un raccordo sonoro si capovolge nel suo opposto. Allo stesso tempo i sogni, a cui la canzone stessa fa riferimento, sono veri e propri incubi in cui vige la dimensione dell’abuso costante dell’uomo sull’uomo, in cui ogni fragilità diventa un’arma nella mani dell’altro, in cui a dominare è la perversione e la prevaricazione.
L’umanità fragile e senza speranze messa in scena, in balia delle proprie ossessioni e lontana da un qualunque afflato emancipatore, appena si trova in una condizione di libertà, nella possibilità di compiere una scelta indipendente, precipita in un tunnel di paura e sofferenza. A dominare tutti e tre i film, a legarli insieme, c’è infatti anche un’inquietudine insopprimibile, un terrore incommensurabile di essere abbandonati, di trovarsi soli in un mondo ostile. I personaggi di Lanthimos non sono padroni delle proprie azioni, sono schiavi delle loro angosce che li perseguitano anche nell’intimità dell’atto sessuale, rappresentato dal regista sempre come un momento disturbante in cui si esercita un rapporto di potere.
Se è vero che l’arte è espressione dell’inconscio tumultuoso della società in un dato momento storico, allora si può dire con certezza che Kinds of Kindness sia il riflesso spaventoso del presente, un incubo in cui prendono forma le nostre paure più grandi.