La Ciociara (1960) apre la decade della definitiva consacrazione di Sofia Loren a star internazionale, status a cui il film di De Sica contribuisce in modo determinante facendo vincere all’attrice, tra i tanti prestigiosi riconoscimenti, quello più ambito: l’Oscar per la migliore interpretazione femminile. La Ciociara doveva essere inizialmente il film di due star, con Anna Magnani nel ruolo di Cesira e Loren in quello della figlia.

I dubbi e il rifiuto finale della Magnani furono alla base della trasformazione del film in un veicolo per la Loren, unica vera star, in grado di mettere in ombra non solo la giovane co-protagonista Eleonora Brown ma anche attori maschili più noti come Raf Vallone e Jean Paul Belmondo. Il ruolo di Cesira, vedova che gestisce abilmente un negozio di alimentari nella Roma della fine della Seconda Guerra Mondiale, venne quindi ringiovanito considerevolmente per essere interpretato dalla Loren.

I cambiamenti effettuati sul personaggio di Cesira nella trasposizione cinematografica non si limitano, tuttavia, all’età anagrafica e sono significativi di una strategia narrativa che vede nella Loren la principale fonte di identificazione del pubblico, certamente femminile, ma non solo. In generale, mentre la Cesira del romanzo moraviano è una donna che ha ormai perso stima di sé ed è, in qualche modo, già sconfitta in partenza, il personaggio interpretato da Sofia Loren è una donna che lotta, non ha perso il proprio orgoglio ed è capace di tenere testa agli uomini, anche allo stesso Giovanni (Raf Vallone), di cui è innamorata.

Proprio una scena con Giovanni è sintomatica da questo punto di vista. Quando Cesira decide di tornare al paese per evitare i bombardamenti su Roma e mettere al sicuro la figlia che adora, affida il suo negozio di alimentari a Giovanni, un commerciante di carbone e legna da ardere e l’unico uomo che le vuole bene senza essere interessato al suo patrimonio. Nel romanzo, la scena in cui Cesira affida il negozio a Giovanni e i due fanno l’amore termina con l’uomo che fa firmare alla donna una dichiarazione formale di consegna del negozio. In questo modo, sesso e commercio, un’equazione di cui Cesira ha dato modo, nelle pagine precedenti, di essere già consapevole, vengono sanciti reciprocamente.

Inoltre, Giovanni dà “con la palma aperta una manata sul sedere [di Cesira] sorridendo”. La donna non ha reazione: “Pensai dentro di me che non avevo più il diritto di protestare, che non ero più una donna onesta”. Nel film la reazione, invece, non si fa attendere e Cesira, col pugno chiuso sul volto dell’uomo, intima a Giovanni di non permettersi mai più di fare una cosa del genere, di “non avere quest’aria da padrone” e ributta nel negozio il carbone che stava portando a casa. La Cesira cinematografica è una donna desiderabile dal pubblico sia moralmente che fisicamente. Accetta il sesso, ma non come transazione (come in parte suggerito nel romanzo): come le dirà un altro personaggio maschile, Michele (Jean Paul Belmondo), che adotta un punto di vista più intellettuale nella sua ammirazione per la donna, “Lei non si è guastata con il negoziare”.

Mentre nel romanzo Cesira descrive lei e la figlia come “due cieche che camminano senza vederci e senza capire dove si trovano” perché non hanno un uomo che le guidi, nel film il personaggio interpretato dalla Loren è la guida. In questo è molto più sicura di un uomo come Michele, giovane intellettuale incapace di tradurre le sue idee politiche in un progetto per la comunità contadina di cui è parte: esemplare la scena in cui dovrebbe leggere un passo della Bibbia su Lazzaro ma nessuno dei presenti lo sta davvero a sentire.

La forza di Cesira si scontra però con le contingenze della Storia e con le marocchinate: nel ritorno verso Roma, le due donne sono assalite da un plotone di goumier e stuprate. Nel film Cesira saprà comunque recuperare la figlia, evitandole la degenerazione morale del romanzo, e si continuerà a vedere riconosciuta come madre (e padre) della ragazza: le ultime parole dell’opera di De Sica sono proprio “mamma” e “figlia”, differentemente dal romanzo in cui viene citata l’autorità maschile di Michele e rievocata la sua lettura su Lazzaro, come fonte di ravvedimento.