Un lungo piano sequenza cala dall’alto sulla Union Square di San Francisco che brulica di gente. Un mimo si affianca alle persone che passano e per qualche secondo si fa specchio di chi incontra, rubando di nascosto gesti, espressioni, frammenti di vita. Un'attività per certi versi simile a quella dell’investigatore privato Harry Caul (Gene Hackman) che, insieme ad alcuni complici, sta intercettando la conversazione di una coppia a passeggio per la piazza.
Una frase in particolare lo colpisce - “Ci ammazzerà se gliene diamo l'occasione” - e lo induce a pensare che la coppia sia in pericolo di vita. Harry temporeggia con il committente nella consegna del nastro che poi gli viene rubato. Anche se l’epilogo non è quello da lui immaginato, l'assassinio che vorrebbe scongiurare viene comunque commesso.
Francis Ford Coppola inizia a pensare al tema della Conversazione già all’inizio degli anni ‘60 ma la produzione del film da parte della Paramount arriva solo nel 1974, grazie al grande successo ottenuto due anni prima con Il Padrino. Al centro del nuovo film ci sono due ispirazioni dichiarate: Blow-Up di Michelangelo Antonioni (dove troviamo sempre la ricostruzione di una situazione criminosa a partire da un dettaglio rubato) e il romanzo Il lupo della steppa di Hermann Hesse (il cui protagonista, solitario e in piena crisi spirituale, ha molti tratti in comune con Harry, a partire dal nome stesso).
Investigatore privato e maestro delle intercettazioni, Harry Caul coltiva con metodo la discrezione e la solitudine, non pronuncia bestemmie e ha un’ossessione paranoica per la privacy. Il suo appartamento non deve esser profanato né dai vicini né dalla fidanzata, che non possono nemmeno fargli domande personali, pena la rottura dei rapporti. Quando esce indossa sempre sopra ai vestiti un leggero impermeabile di plastica e al lavoro preferisce non condividere coi colleghi dettagli su quello che sta facendo.
Coppola invece fa il processo inverso e ci immerge nei dettagli del lavoro di Harry che diventano il fulcro del film: il materiale sonoro rubato ci parla della coppia intercettata ma anche - e forse in maggior misura - del protagonista. Grazie all'innovativo lavoro di montaggio fatto da Walter Murch, l'uso del sonoro irrompe prepotentemente dentro la trama del film - ispirando poi diverse pellicole successive, prima fra tutte Blow Out di Brian De Palma - e si lega a essa in modo indissolubile.
Durante tutto il film un particolare frammento di dialogo, estrapolato dalla conversazione della coppia, ricorre in modo ossessivo e viene applicato come sonoro di sottofondo ad altre scene che hanno Harry come protagonista, divenendo di fatto una specie di didascalia al personaggio. Il dialogo in origine si svolge nella piazza quando la donna intercettata nota un vecchio clochard che dorme su una panchina: "Ogni volta che vedo un vecchio come quello, mi viene in mente sempre la stessa cosa [...]. Penso sempre che anche lui è stato un bambino. No, davvero. Penso che un giorno anche lui è stato il cocco di qualcuno, ha avuto un papà e una mamma che gli volevano bene e adesso eccolo qua: mezzo morto su una panchina".
Dal film emergono poi altre informazioni su Harry che ci parlano di un'infanzia segnata da una malattia invalidante, di un rischio di annegamento, di una rabbia repressa e di un senso di colpa nei confronti del male che accade alle persone a lui vicine. Senso di colpa che si trasforma in trauma quando alcune sue intercettazioni fatte a New York portano all'assasinio di un'intera famiglia.
Il disagio di Harry segue un crescendo all’interno del film - nemmeno la confessione religiosa dei peccati gli porta sollievo - le sue paure si fanno sempre più acute e si avvitano su loro stesse sfociando nel delirio paranoide. Le ultime sequenze in cui Coppola mescola immagini reali ad altre solo immaginate (come quella potentissima del water che rigurgita sangue) ci conducono alla scena finale: il passaggio da spia a spiato innesca in Harry una rabbia furiosa che lo porta a distruggere la propria casa. Lì fra le macerie delle proprie difese l’unica nota di conforto che rimane è quella della musica che suona col suo sax.
La conversazione, Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1974, è un film intimamente coppoliano. Se da un lato è figlio inquieto del suo tempo, dall’altro ci riporta ad alcuni fra i motivi ricorrenti nella multiforme poetica di Coppola: la solitudine, l'alienazione come scarto fra l'individuo e il contesto in cui vive, l'indecifrabilità del mondo. Ma il film deve molto anche alla grande interpretazione di un umanissimo e alienato Gene Hackman, che poco prima, nel 1972, aveva vinto l’Oscar come miglior attore per Il braccio violento della legge.
Oggi La conversazione ci appare un film capace di dialogare con molte dimensioni diverse. Ci parla del passato: la tecnologia analogica che iniziava a minare la libertà individuale; la realtà che non era come appariva; il richiamo allo scandalo Watergate del cui clima di smarrimento e sconcerto sicuramente la pellicola si nutre. Ci riporta al nostro presente: l'invadenza della tecnologia - ora non più analogica ma digitale - nella vita privata e quotidiana; il conseguente rischio di svuotamento e perdita di identità a cui siamo anestetizzati. Ma il film guarda in modo inquietante anche al nostro futuro: Harry potrebbe essere uno di noi, o un vecchio su una panchina che domani incontriamo andando al lavoro.
Un bambino un tempo molto amato, ora un uomo solo: senza identità, senza affetti, senza casa, protetto solo da un leggero impermeabile di plastica trasparente.