Per continuare il nostro studio su La febbre del sabato sera e le influenze culturali su stili di vita e consumi degli ultimi quarant'anni, ospitiamo questa volta un acuto intervento di Claudio Bisoni, comparso in open access sulla rivista Cinergie - Il cinema e le altre arti, che dedicò uno speciale proprio alla dico music e al rapporto con l'immaginario audiovisivo. Nel denso saggio dell'autore, il corpo e la funzione della star Travolta vengono messi in relazione con i temi della mascolinità e della rappresentazione di genere, con risultati sorprendenti. Buona lettura.
Introduzione
La febbre del sabato sera esce in pieno consolidamento mainstream della disco music, un anno e mezzo circa prima della curva verso il basso delle vendite, che inizia con l’abbandono delle posizioni in testa alle chart di Billboard nel 1979 e con la data simbolica della “disco demolition night” di Chicago1. Siamo in un giro d’anni in cui gli aspetti underground del fenomeno (come le feste a inviti nel loft di David Mancuso) hanno lasciato la scena a tratti più appariscenti. E in cui ormai è consolidato quel mix caratteristico dell’esperienza disco tra produzione musicale, lavoro dei dj e design del dance floor. Il film di John Badham non è solo una prova del fatto che la disco è entrata in una fase di globalizzazione. Può anche essere interpretato come un vettore di questa stessa globalizzazione. Infatti la pellicola ottiene successi planetari conquistando i botteghini USA ed europei. La colonna sonora del film è campione di incassi in Europa come nel resto dell’occidente (a fine anno ha venduto trenta milioni di copie: il maggiore incasso lordo di tutti i tempi all’epoca)2.
Nel documentario The Secret Disco Revolution (Jamie Kastner, 2012), La febbre del sabato sera è considerato la più grande vittoria della disco, espressione perfetta della cultura della dance music al suo apogeo: una rivoluzione che si estende al cinema, agli altri media, al vestiario, alla moda, al costume, al sesso. Tra le più intervistate all’interno del documentario troviamo Alice Echols. La Echols ha scritto un libro per sostenere ciò che dice in forma più sintetica anche qui: La febbre del sabato sera è un testo ascrivibile all’agenda del femminismo pro-sex. In altri termini, funziona come Love to Love You Babydi Donna Summer: un mugolio sessuale orgasmico ininterrotto da leggersi come critica femminista al three minutes sex3.
In The Secret Disco Revolution non sono poche le voci in linea con la visione della disco espresso da un altro intervistato illustre: Nicky Siano. Il disk jockey propone la narrazione secondo cui la disco avrebbe incarnato una cultura spontanea e progressista, empatica verso la diversità e il prossimo, nata dal basso, cioè dal lavoro dei dj collocati fuori dalle istituzioni musicali, poi però sarebbe stata rovinata dall’exploitation della formula e dalla standardizzazione, cioè dai principi guida delle major musicali. Troviamo qui condensato uno schema ricorrente nel giudizio sui prodotti popolari di entertainment: dopo una prima fase in cui un fenomeno è considerato “autentico”, subentrano le accuse d’integrazione e di atteggiamento supino verso le logiche commerciali della musica mainstream.
In The Secret Disco Revolution, tra i fattori di evoluzione della disco verso il mainstream, si trova descritta anche la presenza di un’audience animata dal desiderio di integrazione sociale: un pubblico composto soprattutto da black aspirational, desiderosi di abbandonare i quartieri ghetto e di integrarsi in comunità urbane multi-razziali e in ambienti professionali di buon livello. Tuttavia si trova anche altro. Per esempio, molti intervistati si esprimono con perplessità sulla possibilità di reperire un’agenda politica di protesta consapevole nella disco. Anzi, a volte non capiscono neppure come possano venire in mente cose del genere, essendo la disco “just a lot of dancing, a lot of clubs, a lot of movement. And people just having a lot of fun”. Tutto ciò dovrebbe rendere chiaro che il paradigma resistenza/integrazione interessato a stabilire gradi di rottura politica e di distacco rispetto al mainstream è contestato all’interno della stessa cultura disco4.
In ciò che segue provo a considerare La febbre del sabato sera come un oggetto culturale con una posizione rispetto alla cultura disco un po’ più complessa di quella emergente da The Secret Disco Revolution e dalle parole della Echols. In generale infatti La febbre del sabato sera viene inserito nel patrimonio disco in modo problematico. Dice Tim Lawrence in Love Saves the Day:
Above all else, Saturday Night Fever established an imaginative framework for the stabilization of discotheque culture. (…) Saturday Night Fever created a lens through which a discotheque mainstream could come into focus. First, the film deleted any trace of the downtown night network: out went Manhattan’s ethnic gays, black funk, drugs, and freeform dancing, and in came suburban straights, shrill white pop, alcohol, and the Hustle5.
Vorrei leggere La febbre del sabato sera come un esempio di riappropriazione pop della dance culture. Questa riappropriazione mainstream – al contrario di quanto sostengono talvolta i seguaci del racconto standard della commercializzazione dei fenomeni culturali bottom-up come sinonimo di perdita di autenticità – non impoverisce il fenomeno della disco music. Al contrario, lo estende e lo rende più ricco e variegato. Per dimostrarlo mi concentrerò su aspetti specifici del film di Badham indagando analogie e differenze rispetto ad altri due racconti della disco revolution, uno precedente e l’altro successivo alla pellicola. Quello precedente è l’articolo da cui La febbre del sabato sera trae spunto: Tribal Rites of the New Saturday Night di Nik Cohn6. Quello successivo è il già citato The Secret Disco Revolution.
Nel prossimo paragrafo considero gli aspetti rilevanti dell’articolo di Cohn per meglio comprendere gli slittamenti compiuti dal film rispetto alla fonte giornalistica. Nel terzo prendo in considerazione il rapporto tra la prima e la seconda parte della pellicola in relazione alla caratterizzazione di Tony Manero (John Travolta). In particolar modo vorrei definire l’atteggiamento oscillante del film nella caratterizzazione del suo protagonista tra una posizione di critica al mondo della disco (presente soprattutto nel finale) e uno sguardo ironico di natura abbastanza assolutoria, in modo che il racconto riesca contemporaneamente a contenere una sorta di monito morale e a essere uno dei vettori principali di glamourizzazione del mondo delle discoteche. Nel quarto paragrafo vengono analizzate le tipologie del ballo e le loro conseguenze in termini di rappresentazione del corpo e riferimenti alla cultura musicale della disco. In questo caso l’accento viene messo sul fatto che le tipologie del ballo rappresentate sono abbastanza varie da consentire l’individuazione di esempi di ballo in funzione “comunitaria” o, viceversa, in funzione individualizzante e solipsista. Nel quinto paragrafo mi soffermo sui processi di femminilizzazione che investono il corpo di Travolta/Manero. Nelle conclusioni questi processi vengono messi in relazione al rapporto che Tony intrattiene con la seduzione, il sesso e il desiderio. Mi interessa il fatto che il corpo del ballerino viene rappresentato come un soft body il cui carattere seduttivo risiede meno nelle risorse erotiche tradizionalmente associate alla performance sul dance floor e più nella constatazione che, sul piano della storia, il protagonista usa il ballo per mantenere una forma davvero curiosa di castità o di ciò che oggi si potrebbe chiamare sexout (sospensione del sesso)7.
Riti tribali?
Ci sono in Tribal Rites of the New Saturday Night situazioni e dettagli che si trovano quasi identici nel film. Tra gli altri: Bay Ridge, la discoteca 2001 Odyssey, le preoccupazioni del diciannovenne protagonista di invecchiare presto, la consapevolezza che la gioia offerta dal dance floor è destinata a durare poco. L’articolo mette in gioco elementi che nel film risultano in qualche modo impliciti e che talvolta (anche se non sempre) sono in contrasto con la descrizione della disco come fenomeno socialmente rivoluzionario.
Un tratto peculiare dell’articolo riguarda la descrizione di due cambiamenti, uno generazionale, l’altro geografico. Cohn parla di una nuova generazione di consumatori di musica e ballo che viene da un limbo suburbano non identificabile con downtown Manhattan: è come se dalla fine degli anni sessanta un’intera generazione di consumatori suburbani cominciasse a rendersi sempre più visibile. Inoltre l’articolo descrive una comunità giovanile diversa da quella cresciuta nel decennio precedente, perché composta soprattutto da giovani lavoratori che non condividono il mood anti-establishment tipico della cultura rock. Una generazione indifferente allo spirito emancipativo tipico dei Sessanta e che, di fatto, non sa nulla di contro-cultura: “They know nothing of flower power or meditation, pansexuality, or mind expansion. In many cases, they genuinely can’t remember who Bob Dylan was (…) this generation’s real roots lie further back, in the fifties, the golden age of Saturday nights”. E ancora: “So the new generation takes few risks. It goes through high school, obedient; graduates, looks for a job, saves and plans. Endures. And once a week, on Saturday night, its one great moment of release, it explodes”. Insomma, non più una generazione politicamente consapevole e “impegnata” né ancora una generazione della dépense, dello spreco o dell’autodistruzione o del “no future” (si pensi, per contrasto, alla cultura giovanile del ’77 italiano o del punk inglese subito successivo). Piuttosto una generazione in risparmio energetico. Giovani che sono lavoratori di giorno e scatenati ballerini una notte a settimana, in tempi e luoghi circoscritti.
La netta separazione tra la vita ordinaria fuori dalla disco e gli spazi del ballo informa anche la concezione del dance floor di Vincent, il giovane conosciuto da Cohn che verrà poi trasfigurato sullo schermo in Tony Manero. Per entrare nell’Odyssey devi avere caratteristiche precise: una certa sensualità, un certo abbigliamento. Solo così puoi essere uno degli amici di Vincent, uno dei The Faces (la “compagnia” di cui Vincent è il leader). Cohn insiste sul fatto che i ballerini dentro la discoteca sono come dei irraggiungibili che sanno dare alla pista da ballo un’impronta prodotta dal loro movimento: un effetto raggiunto senza sprecare parole (“That was why he loved to dance, not talk. In conversation, everything always came out wrong”). Vincent e i suoi amici prendono il dance floor con molta serietà. Ma la pista da ballo non appare affatto un luogo catartico o di liberazione della carica sessuale. Al contrario: “Purity. A sacrament. In their own style, the Faces were true ascetics: stern, devoted, incorruptible. ‘We may be hard. But we’re fair’, said Vincent. So they gathered in strict formation, each in his appointed place, his slot upon the floor. And they danced”.
I ballerini di Cohn vengono descritti come militari impassibili che ballano nel loro spazio prestabilito. Inespressivi e concentrati. Se sono “erotici”, lo sono in virtù di un erotismo freddo, distaccato e consapevole. Su questo punto tornerò in seguito, non prima di aver ricordato altre due caratteristiche proprie della comunità degli amici di Vincent.
In primo luogo si tratta di una comunità che non punta affatto all’integrazione delle etnie e/o al riscatto delle minoranze. Assistiamo piuttosto a una guerra tribale combattuta con altri mezzi:
There was no overlapping. Italians were Italian, Latins were greaseballs, Jews were different, and blacks were born to lose. Each group had its own ideal, its own style of Face. But they never touched. If one member erred, ventured beyond his own allotted territory, he was beaten up. That was the law. There was no alternative.
In secondo luogo si tratta di una comunità non certo progressista in termini di politica sessuale. Al contrario, è fallocratica e maschilista. È l’uomo che mette in gioco il proprio corpo, che occupa una posizione particolare e inedita. Mentre la donna rimane confinata sullo sfondo:
Then there were girls. But they were not Faces, not truly. Sometimes, if a girl got lucky, a Face might choose her from the crowd and raise her to be his steady, whom he might one day even marry. But that was rare. In general, the female function was simply to be available. To decorate the doorways and booths, to fill up the dance floor. Speak when spoken to, put out as required, and then go away. In short, to obey, and not to fuss.
Camminare e ballare
Dunque abbiamo una caratterizzazione di un certo mondo suburbano giovanile che trova nel ballo un elemento di svago e perfezionamento individuale più che di emancipazione sociale. L’accento cade più sul controllo del desiderio che sulla sua liberazione. Più sulla musica come contesto di riaffermazione delle differenze di genere che sulla gender equality. La febbre del sabato sera però incorpora vari elementi presenti nel reportage di Cohn e forse per questo motivo può apparire come un resoconto della disco che aggiunge deformazione a deformazione. Con le parole di Lawrence: la fantasiosa interpretazione di una fantasiosa interpretazione8. Infatti un problema che i sostenitori della tesi della disco come fenomeno politicamente rivoluzionario possono avere nei confronti di La febbre del sabato sera è che i suoi giovani protagonisti se la prendono in vario modo con donne, minoranze etniche, persone di colore e omosessuali: proprio i soggetti che dovrebbero essere i maggiori attori e beneficiari della disco revolution9. Per limitare gli effetti di questa constatazione la Echols ricorre a un argomento tipico dell’analisi del prodotti culturali: la necessità di tenere distinto ciò che viene proposto nel film da ciò che viene proposto dal film. In base a questa distinzione risulta facile sostenere che La febbre del sabato sera non appoggerebbe affatto l’idea che sia giusto trattare male le donne, picchiare i latino-americani e fare le battute sugli uomini di colore. Al contrario, il film sarebbe critico verso molti aspetti della condotta di Tony e dei suoi compari.
L’interpretazione è condivisibile ma solo se riferita ad alcuni momenti di La febbre del sabato sera confinati nella seconda parte del plot. Negli ultimi venti-trenta minuti infatti lo spettatore scopre una serie di cose. Tony rivela una superficialità nei rapporti umani (anche con i propri migliori amici) che ha qualcosa di fatale: a morire però non è il protagonista ma il suo compare più indifeso (che cade in un tentativo di mezzo suicidio, mentre è ubriaco, dal ponte di Verrazzano). Al contempo emerge che la bravura del protagonista in pista è relativa: durante la sfida di ballo, la coppia dei portoricani in gara è nettamente superiore, come lo stesso Tony riconosce subito. Inoltre Tony tenta – a dire il vero in modo poco convincente, come suo solito – di violentare Stephanie Mangano che si trasferisce a Manhattan e lo accoglie sulla porta di casa con una battuta memorabile (“This is the first time I’ve let a known rapist into my apartment”). In questo segmento narrativo il personaggio di Manero assume i contorni di un triste anti-eroe metropolitano che gira di notte senza certa meta, consapevole della vanità del tutto e disposto a interrogarsi introspettivamente sui propri veri desideri futuri. Con qualche fondata perplessità, Lawrence commenta:
At the end of the film Tony doesn’t want to go to Manhattan in order to find a hipper club. His real aim is to get an apartment in New York City and quit wasting his life on the dance floor. “I ain’t going back,” he tells Stephanie, ” ’cause it’s all bull.” It’s almost as if he wants to go to the club capital of America in order to escape the world of the discotheque. As such the film ends with a sober condemnation of the lifestyle that it supposedly celebrates10.
L’ultima parte del film è insomma quella più adatta a corroborare la lettura della Echols. Ma si tratta anche del momento più incoerente rispetto a tutto ciò che avviene prima. Nei primi novanta minuti La febbre del sabato sera è una commedia in cui l’elemento di commedia di costume è importante quasi quanto la messa in scena dei numeri di ballo. I toni e gli accenti da commedia musicale hanno un ruolo che va riconosciuto (cosa che non sempre è stata fatta) nella presentazione del protagonista: Tony appare simpatico sul lavoro, inserito in un ambiente familiare problematico ma governato da una certa solidità degli affetti e da comportamenti tutto sommato ragionevoli. Le bravate compiute con gli amici sono presentate come una serie di atti mancati ed equivoci il cui lato inoffensivo è ben visibile. La scelta stessa di rinunciare al premio nella gara di ballo testimonia di un’onestà di fondo da parte di Tony che emerge anche nelle occasioni in cui la messa in scena si sofferma sugli aspetti più “deboli” del personaggio: l’infantilismo domestico, le incertezze affettive con Stephanie11. In definitiva il film non pare interessato a definire il personaggio di Manero – così come, per estensione, il mondo della disco – all’interno di un set di opzioni morali chiare e definite12. Al contrario, sembra piuttosto rivolgere le proprie attenzioni altrove lasciando il perimetro entro cui tentare di prendere la misura della moralità di personaggi o situazioni sostanzialmente incustodito, vale a dire aperto a vari usi e interpretazioni.
Le forme del ballo
La febbre del sabato sera si apre con due riprese aeree. La prima inquadratura, sul ponte di Brooklyn, è seguita, in dissolvenza incrociata, da un ampio movimento che porta l’occhio della skycam in prossimità del ponte di Verrazzano, con uno spostamento da sinistra a destra, cioè da est a ovest, quindi da Staten Island verso il punto più a sud di Bay Ridge. E poi, a fine movimento di macchina, oltre il ponte, più a nord, nel cuore del quartiere suburbano. Il film inizia con un doppio percorso di allontanamento da down town, offrendo una visione geografica dell’azione in linea con la diffusione del fenomeno disco nelle periferie della grande città, così come viene proposto nel reportage di Cohn. Ma poco dopo, sui titoli di testa, siamo già sui piedi di Travolta. Sui suoi stivaletti con il tacco e sulla sua camminata. La sequenza segnala un congedo dalla caratterizzazione proposta in Tribal Rites of the New Saturday night della disco come fenomeno confinato alla pista da ballo di certi locali. Al contrario, qui la disco non appare una cultura isolata all’interno del perimetro delle discoteche. Ha effetti mondani ben più ampi sul lifestyle. I suoi segni sono ovunque: nella scelta dei vestiti, nello shopping, nel comportamento quotidiano, nello stile di movimento, nei modi di occupare lo spazio e camminare. Non a caso in La febbre del sabato sera si trovano quasi più camminate “coreografate” che vere e proprie coreografie di ballo. Un topos stilistico del film è il carrello a precedere il movimento di qualcuno che cammina entrando in discoteca o in altro ambiente (la sala prove, la strada) o le inquadrature mobili, con funzione spettacolarizzante, raso terra, quasi addosso alla falcata del protagonista (come sui titoli di testa), o in contre-plongée sul suo corpo mentre si sposta nello spazio. Queste scelte di ripresa contribuiscono a fare della camminata una performance estetica distribuita attraverso tutta la narrazione, un’estensione agli spazi della vita quotidiana del principio di dominio sulle forme che nella discoteca viene esercitato tramite la disciplina del ballo13.
Ma il ballo stesso non ha nel film una caratterizzazione unitaria. Un aspetto in genere trascurato di La febbre del sabato sera è proprio il modo in cui, con estrema precisione, propone diversi stili di ballo a loro volta connessi con diverse idee sulla funzione del dance floor.
Ci sono almeno tre tipologie di messa in scena del corpo danzante di Manero e degli altri ballerini. In primo luogo troviamo i momenti in cui i ballerini si muovono in pista senza una coreografia di gruppo che stabilisca una serie di movimenti coordinati tra i diversi corpi in scena. In questi casi la macchina da presa viene spesso spostata a mano, ad altezza uomo, in mezzo alle coppie che ballano liberamente. Queste immagini sono quelle più simili alle descrizioni della dance che si trovano in The Secret Disco Revolution: la disco dà vita a gesti in libertà (non organizzati da un principio unitario del ballo), produce uno spazio di concentrazione di corpi accalcati in un ambiente che facilità la promiscuità.
In secondo luogo abbiamo i momenti in cui Tony è in pista a centro scena. In certi casi è la macchina da presa che stabilisce una gerarchia tra il suo movimento (in primo piano) e quello delle altre coppie danzanti. In altri, il protagonista è solo sulla pista da ballo, che diventa il suo palcoscenico, mentre intorno i presenti lo osservano danzare.
In terzo luogo troviamo le coreografie di gruppo. In questi casi si crea un effetto di sincronizzazione collettiva tra gesto e ballo che suggerisce un’idea di disciplina e armonia nella costruzione del numero musicale (si intravedono anche varianti dell’hustle). Qui è in gioco un’esperienza della dance music diversa da quella proposta da The Secret Disco Revolution. È utile ritornare sulla metafora militare usata nel reportage di Cohn. Egli descrive Vincent che si allontana dalla pista, sale sugli spalti e guarda il dance floor dall’alto, come un generale che scruta i propri uomini sul campo di battaglia:
They were like so many guardsmen on parade; a small battalion, uniformed in floral shirts and tight flared pants. No one smiled or showed the least expression. Above their heads, the black musicians honked and thrashed. But the Faces never wavered. Number after number, hour after hour, they carried out their routines, their drill. Absolute discipline, the most impeccable balance.
Dunque la pista da ballo viene tratteggiata come un luogo sottoposto a un design controllato da un principio d’ordine che fa apparire i ballerini concentrati e inespressivi. È importante insistere sul fatto che i tre diversi design del dance floor sono co-presenti in La febbre del sabato sera. Il film quindi propone modelli diversi di organizzazione dell’esperienza del ballo. Questa esperienza può prendere forma sia come momento di sensualità /disordine collettivo sia come disciplina del sincronismo di gruppo sia, infine, in passaggi secondari e residuali, come qualcosa che richiama una funzione della canzone/numero di ballo nel musical classico: cioè come occasione di gioia dei sensi, di superamento degli attriti comunicativi quotidiani (per esempio, quando Tony e Stephanie ballano felici in circolo, sono attratti in una vertigine che cancella tutte le difficoltà del loro rapporto su cui la narrazione si è altrove soffermata)14.
La pluralità di modelli di ballo e di esperienze della disco raccolta dal film offre uno spaccato la cui complessità è confermata nella seguente pagina di Lawrence, che è bene citare quasi per intero:
While sex was everywhere implied (…) discos were often curiously asexual. “There is no stigma attached to girls dancing with girls or boys with boys — and no compulsion to find a mate. For some, discos are an Antonioni film on noncommunication come to life. For others, they are a harbinger of the Somazonked masses of 1984.” For others still, however, they provided an environment in which alternative sexual and bodily identities could be explored. Orth’s “Somazonked masses” were trance-sexuals who, having submerged themselves in the destabilizing sound-light-space environment of the nightclub, tripped out for hours at a time, slipping into a state of semi-forgetting that did not simply represent an act of political abandonment but also provided a potential platform for experimentation. Women dumping their gender-determined preference for conversation? Fine. Men going into the bathroom in couples and spending more time on their hair than the women? OK. Women and men choosing the primeval tremors, vibrations, and pulsations of the collective dance above getting it on? Makes a change. Men and women dancing in same-sex couples? No problem. A denaturalized sexual environment? Perfect15.
Il corpo di Manero
Gli studi sulla mascolinità nel cinema hanno un problema con il display del corpo maschile del performer. Sotto l’influenza della teoria del piacere visivo di Laura Mulvey si sono talvolta interrogati su cosa ne sia dell’identità maschile quando questa è inseparabile da un corpo che si trova nella posizione solitamente occupata dal corpo femminile: quella della to-be-looked-at-ness tipica dei personaggi attivi nel mondo dell’entertainment (cantanti e ballerini sopra tutti). Un’idea diffusa in questo campo di studi è che la stessa presenza di un personaggio maschile in questa posizione comporti, a livello più o meno cosciente, un pericolo per la mascolinità stessa che spesso produce delle reazioni difensive16. Senza addentrarmi su un terreno teorico quanto mai insidioso, avanzo l’ipotesi che La febbre del sabato sera sia una prova esemplare della poca sostenibilità della teoria del rischio di femminilizzazione del performer, soprattutto in relazione a film appartenenti a un’epoca post-classica.
In La febbre del sabato sera il comportamento e la posizione di Manero sono effettivamente femminilizzati in modo sistematico. La femminilizzazione di Tony è prodotta su almeno tre piani: il comportamento del protagonista in senso stretto; il comportamento degli altri personaggi (soprattutto femminili) nei suoi confronti; lo sguardo della macchina da presa sul suo corpo e i suoi movimenti.
Più nel dettaglio, sul primo livello: Tony tiene una serie di comportamenti che, nella percezione comune degli anni settanta, potevano apparire più femminili che maschili. È attratto dalla moda come una donna, si trucca e cura i capelli come una donna, porta i tacchi come una donna, si fa corteggiare come una donna. Anche lo stile di ballo di Travolta, il modo di muovere i fianchi, l’immagine stessa sulla locandina del film (in cui il corpo del performer è immortalato in abito bianco con un braccio alzato) sono tutti elementi investiti di una femminilizzazione evidente.
Sul secondo livello, in La febbre del sabato sera sono le donne che prendono l’iniziativa nel campo della seduzione, che toccano il fondoschiena del protagonista mentre lui le sta accompagnando in pista o che inseguono i loro beniamini sfuggenti con le mani piene di preservativi (per poi essere rifiutate). Per non parlare del fatto che nell’unico momento di violenza urbana della gang, Tony si trova coinvolto in un pestaggio dove è il solo che viene letteralmente preso a cazzotti in faccia e abbattuto … da un’altra donna.
Sul terzo livello, la macchina da presa ovviamente collabora alla costruzione del corpo del performer come spettacolo erotico, una questione intorno alla quale la letteratura su La febbre del sabato sera è abbastanza ampia. Per Jeff Yank, già la prima sequenza in cui troviamo Travolta camminare per Brooklyn sulle note di Staying Alive propone un interscambio tra l’uso del corpo maschile come spettacolo erotico e gli specifici meccanismi filmici che producono una grande fluidità tra stereotipi di gender di solito orientati all’ “oggettificazione” delle figure femminili e una mascolinità attiva17. Secondo Jesse Zigelstein, il film sottopone il corpo di Travolta a una “oggettificazione femminizzante”. Non solo Travolta si trova esibito per lo sguardo dello spettatore in una posizione riservata di solito al corpo femminile, ma l’esibizione ha connotazioni specifiche a loro volta rinforzate nei materiali di stampa o sulle copertine dei settimanali dell’epoca: una pubblicistica che punta a proporre l’immagine del performer nei panni di una pin-up maschile semi nuda ma anche rispondente al cliché del “macho vulnerabile”. Nella presentazione filmica di Travolta/Manero dunque troviamo elementi di narcisismo, feticizzazione del corpo, pin-up passivity, ma anche magrezza, insicurezza, appeal androgino. Insomma: oscillazioni di gender legate a una sessualità enigmatica e fluida. Un soft body che sarà marginalizzato dagli hard bodies dei vari Stallone e Schwarzenegger negli anni ottanta reaganiani (corpi forse nati proprio come risposta alle ambiguità di corpi come quello di Travolta)18.
Al di là dalla contrapposizione, un po’ schematica, tra i corpi degli anni settanta e quelli degli anni ottanta proposta da Zigelstein, ci sono dei momenti in La febbre del sabato serain cui le strategie di messa in scena del corpo del protagonista risultano sospese tra celebrazione e ironia, erotismo e demistificazione. Ne cito solo uno, a mio avviso esemplare: la sequenza del risveglio di Manero dopo la prima notte in discoteca. Il segmento, estremamente breve, si apre, in dissolvenza incrociata, con una panoramica da destra a sinistra sulla figura seminuda di Tony sdraiato sul letto. Quando la macchina da presa risale dai suoi piedi al viso scopriamo che il ragazzo non sta dormendo: giace immobile con lo sguardo assente, fisso nel vuoto. Poco dopo egli si mette a sedere e infila una mano negli slip per grattarsi. Questo tipo di panoramica, almeno nella sua fase iniziale, risulterebbe già di per sé piuttosto eccentrica in un film classico. Bisogna però soffermarsi sui sotto-segmenti del movimento qui in gioco: prima lo scorrere della macchina da presa sul corpo di Tony, poi il viso imbambolato del protagonista e infine il gesto. La sensualità impalpabile e discreta della prima parte dell’inquadratura è in contrasto con la sottile comicità del volto inespressivo e con un’azione finale basso-mimetica e triviale. Alla fine la panoramica funziona come una sorta di introduzione al backstage del ballerino protagonista: il luogo dove succede qualcosa di più prosaico rispetto al display del corpo elegante in azione sul dance floor osservato solo poco prima. Quello che abbiamo in scena è dunque un corpo divistico e sensuale a metà. È come se il movimento di macchina, nel tentativo di percorrere il proprio oggetto d’attenzione, andasse a inciampare in qualcosa di inadatto alla sua trasformazione in corpo pienamente erotico. Come se l’erotizzazione fosse costretta a rimanere incompleta o venisse smentita in modo ironico a metà e a fine percorso.
Dunque al posto del trauma, del rimosso e delle configurazioni reattive legate al rischio di femminilizzazione, in La febbre del sabato sera troviamo molta femminilizzazione del corpo del ballerino ma senza rischio, con un po’ di erotismo e una certa ironia. Il trattamento riservato a questo soft body non pare esser fonte di trauma o ansia né per il soggetto in questione né, possiamo immaginare, nei confronti degli effetti di piacere sul versante dello spettatore. Il che, in modo indiretto, almeno in questo caso, potrebbe portare a sviluppare osservazioni a complemento della descrizione data in The Secret Disco Revolution di una società che in alcune sue specifiche manifestazioni pare già matura per non percepire più come pericoloso l’allontanamento da un’eterosessualità normativa altrove sempre ribadita. Per esempio, nel documentario di Kastner viene proposta l’immagine di una comunità musicale in cui essere gay non è più una condizione di rottura con una carica antagonista, ma soprattutto un gesto di moda, che non comporta l’associazione con immagini marcate da femminilità, quanto piuttosto con rappresentazioni (talvolta auto-ironiche) di machismo quasi caricaturale, così come avviene in Macho man dei Village People o in film come Cruising (William Friedkin, 1980).
Conclusioni
Infine, connessa al problema della rappresentazione del corpo del performer, si trova la questione più ampia toccata all’inizio: la disco come ipotetica scena di liberazione della sessualità. La febbre del sabato sera sembra suggerire qualcosa di più sfumato. Il sesso esiste, ma tutto intorno a Tony. I suoi amici lo praticano disinvoltamente, in modo seriale e senza troppi pudori. Tony no. Il comportamento di Tony però può essere letto in almeno due modi differenti.
Il primo è che il campo della sessualità configura l’ennesima area di deficienza dell’eroe: il luogo dove il personaggio non sa fare i conti con i problemi di genere e orientamento sessuale (reprime/rimuove/denega qualche forma di omosessualità ?). Tutto sommato Tony si comporta da macho ma non lo è. Per tutto il film è un agente di inibizione sessuale per i suoi amici. È l’unico per il quale non sia documentata alcuna attività sessuale (persino il più nerd del gruppo ha messo incinta la fidanzata …). Ogni volta Manero trova una scusa per interrompere l’atto e quando tenta di violentare Stephanie si fa male e viene facilmente fermato.
Il secondo modo di leggere il suo comportamento (che preferisco al primo) potrebbe insistere sull’idea del dominio sul dance floor come variante del principio di sublimazione. Il ballo serve a Tony per “spostare” il sesso verso qualcosa che è carico di connotazioni sessuali ma che sesso non è. Il fratello di Tony ha senz’altro più difficoltà a gestire la profferta erotica del dance floor, e in qualche modo scappa, pur avendo già abbandonato l’abito talare ed essendo quindi libero di dedicarsi ai piaceri della carne. Per Tony invece il ballo è una risorsa per avere occasioni di fornicazione da lasciar poi cadere una a una. La mia ipotesi – qui sta la differenza rispetto alla prima spiegazione proposta – è che in questo caso non abbiamo a che fare con un fatal flaw dell’eroe. Ma con un suo punto di forza.
Insomma, Manero può essere letto come un personaggio spavaldo ma in realtà “bloccato” dal sesso. Oppure come un soggetto che ha raggiunto quella condizione invidiabile(almeno in certe circostanze) che talvolta, in alcune loro fantasie, gli uomini tendono ad attribuire alle donne: uno stato di non-dipendenza pavloviana dallo stimolo sessuale.
Propongo di chiamare “mascolinità passiva” questa capacità di Manero di incorporare la fantasia dell’impassibilità e del potere femminile di “resistenza” allo stimolo erotico, senza rinunciare ad altri tratti tipici della performance sociale della mascolinità19. Tony dunque partecipa alle dinamiche della seduzione mantenendo contemporaneamente una posizione di oggetto del desiderio e di soggetto desiderante solo fino a un certo punto, cioè il punto in cui si dimostra capace di sottrarsi alla lusinga del godimento senza perdere il controllo.
In definitiva, non è escluso – ma è solo un’ipotesi da sottoporre ad altri approfondimenti – che una delle ragioni del successo del personaggio di Tony Manero risieda in questa imperturbabilità sessuale collocata al centro di varie spinte di seduzione a cui è sottoposto il personaggio tramite il ballo. Una imperturbabilità enigmatica proprio perché in bilico tra potere di controllo e sospetto di assenza del desiderio. E infine, anche una imperturbabilità strategica, perché si manifesta proprio in un’epoca in cui la questione del controllo del desiderio in relazione all’agency femminile emerge in modo sempre più ineludibile e in cui anche la disco può funzionare come set di risorse in grado di attivare soluzioni a questo problema.
Claudio Bisoni
Note
1. A certificare che in qualche modo la disco ha vinto la sua battaglia culturale rimane il fatto che questo atto estremo di ribellione e insofferenza viene letto, soprattutto oggi, in chiave negativa, mettendone in risalto gli accenti razzisti e omofobi. Cfr., Frank Gillian, “Discophobia: Antigay Prejudice and the 1979 Backlash against Disco”, Journal of the History of Sexuality, vol. 15, n. 2 (May 2007), pp. 276-306.
2. Per gli incassi del film, cfr., Paolo Morando, Dancing Days. 1978-1979. I due anni che hanno cambiato l’Italia, Laterza, Roma-Bari 2009. Per gli incassi della colonna sonora, cfr., Tim Lawrence, Love Saves the Day. A History of American Dance Music Culture, 1970-1979, Duke University Press, Durham-London 2003.
3. Alice Echols, Hot Stuff. Disco and the Remaking of American Culture, W.W. Norton & Company, New York-London 2010. Sui rapporti tra femminismo e popular music, cfr., Barbara Bradby, Sampling Sexuality: Gender, Technology and the Body in Dance Music, “Popular Music”, vol. 12, n. 2 (may 1993), pp. 155-176.
4. Gli argomenti ruotanti intorno all’opposizione resistenza/integrazione hanno un ruolo importante nella definizione dell’autenticità dei fenomeni musicali (e relativi alla pop culture in senso lato). Ma, come dimostrato nella ampia letteratura sul concetto di autenticità in relazione alla musica pop, vanno considerati affianco ad altri fattori. Cfr. Allan Moore, “Authenticity as Authentication”, Popular Music, vol. 21, n. 2 (2002), pp. 209-223; Richard A. Peterson, Creating Country Music: Fabricating Authenticity, The University of Chicago Press, Chicago-London 1997; Richard Middleton, Voicing the Popular: On the Subjects of Popular Music, Routledge, London-New York 2006; Simon Frith, Performing Rites: On the Value of Popular Music, Oxford University Press, Oxford-New York 1996.
5. Tim Lawrence, op. cit., p. 372.
6. Nik Cohn, “Tribal Rites of the New Saturday night”, New York Magazine, (7 june 1976). L’articolo di Cohn è stato consultato al seguente indirizzo : <http://instapaperstories.tumblr.com/post/973007321/tribal-rites-of-the-new-saturday-night-new-york>. Le citazioni seguenti sono tutte tratte da questa fonte (ultimo accesso 28 dicembre 2015).
7. Cfr., Wilhem Schmid, Sexout. L’arte di ripensare il sesso, Fazi Editore, Roma 2016.
8. Cfr., Tim Lawrence, op.cit.
9. Il potenziale “di rottura” della disco è stato associato soprattutto all’emergere, dagli anni settanta in avanti, delle minoranze sessuali e alle conseguenti trasformazioni nel campo dei costumi legati alla sessualità. Il libro della Echols va in questa direzione. Cfr. anche i primi capitoli di Jeremy Gilbert, Ewan Pearson, Discographies: Dance Music, Culture, and the Politics of Sound, Routledge, New York 1999 (in cui sono riprese e rilanciate le notissime posizioni “apripista” di Richard Dyer); Peter Shapiro, Turn the Beat Around: The Secret History of Disco, Faber and Faber, New York 2005.
10. Tim Lawrence, op. cit., p.370.
11. Al contrario i desideri aspirational di quest’ultima sono messi alla berlina in modo molto più marcato (Stephanie è un caso fin troppo esemplare di wannabe che va a vedere Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli perché pensa sia scritto da quest’ultimo).
12. Per un punto di vista più articolato su questo aspetto, cfr. Joseph Kupfer, “Stay in’ Alive: Moral Growth and Personal Narrative in Saturday Night Fever“, Journal of Popular Film and Television, vol. 34, n. 4 (2007), pp. 170-178.
13. Del resto, anche quando Tony passeggia in strada discutendo con Stephanie, i loro discorsi sono in conflitto ma lei regola la propria camminata per “aggiustare” i propri passi e procedere in sincrono con i passi del corteggiatore.
14. Qualcosa di simile a quanto accade a Gene Kelly/ Don Lockwood che in Cantando sotto la pioggia (Singin’ in the Rain, Stanley Donen, 1952) non trova le parole per dire il proprio amore all’amata e riesce a farlo solo con gli strumenti del cinema (le tecnologie degli studios) e dell’entertainment (la canzone e il ballo), superando ogni difficoltà e celebrando al contempo l’amore romantico e l’industria dell’entertainment come luogo di potenziamento spettacolare di questo stesso sentimento, secondo la celebre lettura del musical meta-cinematografico offerta da Jane Feuer: Jane Feuer, “The Self-reflective Musical and the Myth of Entertainment”, in Steven Cohan (a cura di), Hollywood Musicals. The Film Reader, Routledge, London-New York 2002, pp. 31-40. Sul concetto di “immagine non-referenziale” nel film di Donen, cfr., Veronica Pravadelli, La grande Hollywood. Stili di vita e di regia nel cinema classico americano, Marsilio, Venezia 2007, pp. 258-266.
15. Tim Lawrence, op. cit., p. 284. La citazione riportata nel brano è tratta da un articolo di Newsweek indicato in nota nel modo seguente: Maureen Orth with Betsy Carter and Lisa Whitman, “Get Up And Boogie!”, Newsweek, n. 8 (november 1976).
16. Per una ricapitolazione e al contempo un superamento di tali posizioni (verso un’idea – che riprenderemo in seguito in relazione a Tony Manero – del performer/ballerino come figura ideale per sperimentare il prototipo di una mascolinità connotata attraverso tratti femminili), cfr., Steven Cohan, “‘Feminizing’ the Song-and Dance Man. Fred Astaire and the Spectacle of Masculinity in the Hollywood Musical”, in Steven Cohan, Ina Rae Hark (a cura di), Screening the Male. Exploring Masculinities in Hollywood Cinema, Routledge, London-New York 1993, pp. 46-69.
17. Jeff Yank “‘More Than a Woman’: Music, Masculinity and Male Spectacle in Saturday Night Fever and Staying Alive“, The Velvet Light Trap, A Critical Journal of Film & Television, n. 38 (Fall 1996), pp. 39-50.
18. Jesse Zigelstein, “Stayng Alive in the 90’s: (John) Travolta as Star and the Performance of Masculinity”, CineAction, n. 44 (july 1997), pp. 32-45.
19. Sui rapporti tra mascolinità e comportamenti femminili nel film, cfr. Stelios Christodoulou, “‘A straight heterosexual film’: Masculinity, Sexuality, and Ethnicity in Saturday Night Fever”, Journal of the MeCCSA Postgraduate Network, vol. 4, n. 1 (2011), pp. 1-27.
Abstract
In this article, Saturday Night Fever (John Balham, 1977) is read as an example of a pop reappropriation of dance culture. It investigates the analogies and differences between the film and two other accounts of disco’s revolution: the article that inspired Saturday Night Fever (Tribal Rites of the New Saturday Night, by Nik Cohn) and the documentary The Secret Disco Revolution (Jamie Kastner, 2012). It furthermore analyses the types of dance depicted in the film, and the ways in which they connect to the mise-en-scène of Travolta/Manero’s body: a body which is represented as “soft”, and which on a narrative level uses dance to maintain an equilibrium between the active exercise of seduction and a particularly unusual form of abstinence.