Nel dicembre del 1977, quando La febbre del sabato sera debutta nelle sale americane, il disprezzo crescente verso la nuova musica da ballo, la rapida ascesa del Punk e la scia di sangue lasciata nell’estate dello stesso anno dal Figlio di Sam per le strade di New York, allora mecca della Disco music, avevano già ridimensionato notevolmente il folgorante mito della discoteca.
Considerato uno dei film più famosi della storia del cinema, a suo tempo campione di incassi che consacrò definitivamente a star il giovane John Travolta e oggi indiscusso cult intergenerazionale grazie anche alla mitica colonna sonora, disco più venduto di sempre fino a Thriller di Michael Jackson, a quarantanni di distanza La febbre del sabato sera mantiene il suo fascino originale.
Il regista John Badham riuscì a sintetizzare in due ore non solo la moda della Disco, ma la filosofia di vita che vi ruotava attorno. L’esile trama che incrocia le tragicomiche vicende del goliardico gruppo di vitelloni italoamericani capeggiati da Tony Manero – commesso di una mesticheria e ineguagliabile re della pista da ballo – si fa espressione di una gioventù povera e sconfitta in fuga da una realtà grama e vacua alla ricerca di un’ideale affermazione personale. Manero è così il modello ingenuo e bambinesco di una generazione disillusa e schiacciata dalle colpe dei padri. Incapace di stare al mondo, vi rinuncia per vivere in una favola di cui è il protagonista, un universo fatato di luci stroboscopiche, belle ragazze, vestiti alla moda e gare per mostrare le proprie capacità fisiche.
Un’esistenza effimera e priva di prospettive che passa senza lasciare il segno, una sopravvivenza riassunta da quello Stayin’ Alive dei Bee Gees, motore ritmico del film e inno dello spirito dello “sballo del sabato sera”: una sfida contro se stessi e il mondo non per affermare un ideale, ma per superarne i limiti in cerca di un svago esasperato e forzato. Ribelli senza causa, i personaggi di Badham sfogano le proprie frustrazioni chi in alcol e pasticche, chi nel sesso, chi nel ballo: un disperato bisogno di spensieratezza in risposta alla coeva crisi economica e ai fantasmi della scottante sconfitta nazionale rappresentata dal Vietnam.
La febbre del sabato sera si fa dunque canto del cigno di un’epoca allora in procinto di concludersi: nuovi cambiamenti erano ormai alle porte, l’America sarebbe rinata ancora una volta a avrebbe ripreso presto a ballare sulla sua seduttiva quanto contraddittoria natura.