“I morti non hanno nessuno”, afferma Risto mentre, con il compagno Arto, sta inscenando il suicidio di una giovane madre che ha appena perso la sua scommessa con la morte alla roulette russa. Al dispiacere per il pensiero degli orfani di Arto, Risto oppone una mentalità affaristica pronta a calpestare i sentimenti, anche se è il primo a non riuscire ad adottarla fino in fondo. Risto finirà per sentire personalmente, nel corso di questo originale buddy movie finlandese che mescola toni surreali e tinte noir, il peso di sentirsi sopravvissuto alle diverse morti che incontra e, in qualche modo, incoraggia.
La morte è un problema dei vivi segue Risto e Arto, due vicini di casa che l’esclusione sociale e l’emarginazione portano a diventare colleghi e amici nell’illegalità, nei loro trasporti di cadaveri scomodi che non possono essere affidati ad una normale agenzia di pompe funebri. In particolare, i loro servizi sono richiesti da una gang che organizza scommesse sul destino di disperati che tentano il tutto per tutto con la roulette russa. La ludopatia estrema di Risto e la mancanza di una considerevole parte di cervello di Arto rendono i due uomini inadatti per qualsiasi lavoro legale, oltre che per ogni tipo di relazione affettiva, se non quella che costruiscono platonicamente tra loro, come richiesto anche dalle regole e convenzioni generiche.
Se la condizione patologica di Risto lo rende inaffidabile nei ruoli di marito e padre, quella di Arto è volutamente espressa in toni quasi kafkiani, anche se regista e produttore hanno dichiarato che il personaggio è stato ispirato da un caso documentato da un articolo di giornale. La mancanza di cervello di Arto è trattata come fosse una condizione patologica imposta dalla società: Arto è una persona perfettamente “normale” prima che la casuale scoperta della sua particolare mancanza lo renda sospetto agli occhi dei genitori della scuola dove lavora facendogli perdere il posto, degli amici e della stessa compagna, assalita da dubbi su un eventuale figlio insieme.
Teemu Nikki, autore del premiato Il cieco che non voleva vedere Titanic (2021), torna ad occuparsi di malattia e di vite ai margini della società, i cui capitoli sono scanditi sapientemente da una colonna sonora sospesa tra jazz e rock finlandese degli anni '80 a sottolineare le differenze tra i due personaggi principali, ma anche il destino che li lega. Infatti, Risto e Arto ascoltano alternativamente i diversi generi di musica all’interno della nuova “casa” comune in cui si sono trasferiti: una vecchia, ma ancora abbastanza affidabile, Volvo blu in cui trasportano i cadaveri e dove dormono quando non lavorano.
La mescolanza dei diversi generi musicali nel corso della strada che Risto e Arno percorrono insieme rispecchia il rapporto solidale tra i due uomini. Inizialmente, sembra essere Risto a decidere per entrambi, sottomettendo il collega e giocandosi anche la sua parte di paga. Tuttavia, è Arto a prendere la decisione più importante che potrà cambiare la vita del collega, restituendo al suo personaggio quella complessità che il senso comune gli nega.
La morte è un problema dei vivi ha il grande merito di saper raccontare il disagio sociale in modo leggero ma non superficiale, con senso del ritmo come in un film di genere, sapendo far sorridere senza nascondere le conseguenze drammatiche delle dipendenze e del giudizio sociale. A La morte è un problema dei vivi non manca certo cervello.