Sei anni prima del cult Amore Tossico, l’outsider del cinema italiano filma la dissacrante vitalità dei giovani proletari milanesi in un documentario fantasioso e militante.
La Parte Bassa, girato a quattro mani da Claudio Caligari e Franco Barbero, è suddiviso in tre episodi, o meglio, “ tre movimenti” che documentano l’attività dei collettivi proletari milanesi. Nei primi due movimenti, lo stile documentaristico e la libertà espressiva con cui sono filmate le accese riunioni dei Giovani Proletari richiamano immediatamente il concetto zavattiniano di film-lampo. Quello che vediamo sullo schermo è un cinema propriamente militante – portato avanti in quella stagione da cineasti ultraindipendenti come Alberto Grifi e il collettivo Videobase -; un cinema, cioè, inteso come strumento di controinformazione e di intervento al di fuori del circuito istituzionale. Caligari e Barbero testimoniano, a partire dal novembre del 1976, le prime fasi di una lotta che, nell’anno successivo, avrebbe assunto dimensioni più ampie, in un periodo di grande fermento culturale e politico, ma anche di violenti scontri con la polizia, come quelli avvenuti nella Capitale e raccontati da Lotta Continua nel film-lampo Filmando in città – Roma 1977.
L’intervista ai militanti del circolo giovanile “il Panettone” – così chiamato perché vicino alla fabbrica della Motta – costituisce la parte centrale e più lunga del film. “Comunque la maggior parte di quello che filmo qui va perso – disse Caligari – come pure il concerto di Venditti che si svolge più o meno nello stesso periodo e che viene interrotto a sprangate”.
Il Terzo movimento del film è forse quello più libero cinematograficamente parlando, sia dai dogmi estetici dell’inchiesta militante sia da quelli del cinema istituzionale. La centralità della testimonianza orale viene meno, in favore di una performance fisica, fantasiosa e carnevalesca degli studenti per le strade di Milano. Il filosofo e storico liberista Raymond Aron aveva definito i moti studenteschi del maggio francese “Carnaval des estudiants”. Storicamente il Carnevale rappresenta un periodo di festa popolare, ma soprattutto di rinnovamento simbolico legato alla forza dissacrante e liberatoria del riso; uno scioglimento dagli obblighi sociali e dalle gerarchie dominanti per lasciar posto al rovesciamento dell’ordine, allo scherzo e alla dissolutezza. Il caos sostituisce l’ordine costituito, che, una volta terminato il periodo festivo, riemerge rinnovato per un ciclo valido fino al carnevale successivo. Al carnevale non si assiste, lo si vive tutti, perché esso è fatto per definizione dall’insieme del popolo. La festività diventa così la forma della seconda vita del popolo, organizzata sul principio del riso, che penetra temporaneamente nel regno utopico dell’universalità, della libertà e dell’uguaglianza. mentre le feste ufficiali non fanno altro che consolidare l’ordine sociale dominante. “Su una cosa ci eravamo sbagliati – recita la voce fuori campo di un militante nella sequenza finale del documentario – credevamo di aver liberato tutto il nostro desiderio della società, al contrario non erano state che le prime, timide, contraddittorie liberazioni”.
Le contraddittorie liberazioni di cui parla non sono l’eversione penale della lotta armata, ma, appunto, un eversione carnevalesca, la performance libera e spontanea che “i veri delinquenti” inscenano per le strade di Milano nel Terzo Movimento, l’energia che si sprigiona dai loro corpi quando si fiondano come zombie affamati sulla macchina emettitrice di biglietti davanti alla stazione centrale. Ma quella insita nel film di Caligari e Barbero è anche un’eversione metalinguistica della macchina da presa stessa dalla “fiction” istituzionale, non-carnevalesca, dettata dalla “società dello spettacolo”; come un modo per riappropriarsi dei mezzi di comunicazione legati all’industria audiovisiva dominante.
Con La Parte Bassa Caligari immortala la parola, il gesto, la rabbia impotente e la voglia di vivere dei movimenti milanesi, proseguendo il suo racconto con lo psicanalitico La follia della Rivoluzione (1978), film sull’assopimento del cinema militante e della contestazione stessa, già pervasa dallo spettro dell’eroina. Per Caligari la fine del “Carnaval des estudiants” e il ritorno all’ordine dominante, non è solo la sanguinosa repressione documentata dal giornalista Renato Novelli (LC) in Roma 1977, né i silenziosi cortei funebri per commemorare i compagni caduti, quanto piuttosto il dilagare dell’eroina fra i giovani delle realtà periferiche più marginali.
Della sua filmografia militante Amore Tossico – film più celebre seppur vittima di peripezie produttive – è solo il tragico epilogo; siamo negli anni Ottanta, la contestazione non esiste più. L’eroina ha posto il freno a qualsiasi forma di protesta giovanile nata dal basso diventando quasi una forma di controllo sociale. La radicalità anti-istituzionale e la violenza iconoclasta hanno assunto la forma di un tetro carnevale vissuto in solitudine, perdendo definitivamente quel carattere gioioso e utopico di parodia del mondo non-carnevalesco e, conseguentemente, qualsiasi possibilità di rinnovamento.