Se La signora della porta accanto è un film così riuscito e, alla fine, così commovente, è perché Truffaut, nemico dell'esibizionismo delle passioni e delle idee, uomo della giusta misura e del compromesso, cerca questa volta di filmare il compromesso stesso, di farne la materia, la forma stessa del film. [...] La scommessa di Truffaut con La signora della porta accanto è uscire da La camera verde, mescolare la sceneggiatura Hyde (la passione morbosa e privata) e la sceneggiatura Jekyll (gli altri, la vita pubblica) senza che l'una prevalga sull'altra, senza che lo spettatore debba scegliere fra le due. [...] Perché, per un paradosso che appartiene solo a lui, la sua arte del compromesso lo precipita verso un cinema rischioso, senza protezione. In La signora della porta accanto, l'arte della regia è diventata abbastanza ampia e abbastanza libera per contenere nello stesso afflato Hyde e Jekyll.
Serge Daney, À propos de La Femme d'à côté, “Libération”, 30 settembre 1981
L'aver tentato di esplorare in vesti moderne il mistero ancestrale dell’Eros basta da solo ad assegnare a La signora della porta accanto un posto di rilievo nella sua filmografia. Se al tempo di La peau douce (1964, in italiano La calda amante) l'epilogo tragico, con la moglie che ‘giustiziava’ il marito fedifrago in un ristorante, costituiva uno choc a sorpresa, nel suo penultimo film l’autore vi arriva senza scarti, con un percorso serenamente classico. E non c'è forzatura nell'atto definitivo che la donna consuma insieme all’estasi d'amore.
Il regista si era innamorato della sua attrice, e nel congedo di Finalmente domenica! (1982) Fanny Ardant si mostrerà orgogliosamente incinta della figlia che il compagno avrà appena il tempo di vedere. Le sue ceneri riposano ora nel cimitero di Montmartre, non lontano dalla tomba di Stendhal, il grande analista dell'amore, nato proprio a Grenoble. Come dicono i francesi, "tutto si tiene”.
Un altro analista dell'amore, Ingmar Bergman, aveva dichiarato: “Amo molto Truffaut. Amo il suo modo di affrontare i problemi; il suo modo di sentire, di pensare. Non si lascerà mai corrompere, né distruggere”.
Ugo Casiraghi, Vivement Truffaut! Cinema, libri, donne amici, bambini, Lindau, Torino 2011
Nella semplicità dell'intrigo e degli elementi drammaturgici, nella trasparenza della messa in scena e nell'apparente assenza di stile di La signora della porta accanto si rivela oltre che il nostalgico ritorno di Truffaut al ‘classico’ e a se stesso (ai suoi affetti e alla sua persona) anche la sicurezza dell’autore nella difficile arte di raccontare nitidamente e di semplificare in modo adeguato una storia molto complicata. […] Da questo punto di vista La signora della porta accanto è addirittura un piccolo capolavoro. Il film, infatti, grazie alla sua trasparenza e alla sua perfetta simmetria di strutture drammatiche e di strutture tematiche consente esiti di estrema classicità e purezza ad un soggetto (di Suzanne Schiffman, Jean Aurel e dello stesso Truffaut) molto complesso e articolato. Consente anche al regista di avvicinare in un suo film quell’ideale organizzazione formale, ad entropia quasi zero, in cui sistemi molto complessi (come qui la storia di Bernard e Mathilde) trovano per incanto la loro distribuzione più semplice (qui l’organizzazione multipla triangolare del ‘récit’, dello spazio scenico e del motivo tematico) e in cui energie anche molto grandi (come quelle in gioco nei rapporti sentimentali del film) stanno senza apparente sforzo in facile equilibrio, nel perfetto equilibrio della composizione scenica, della struttura temporale e degli elementi drammatici di La signora della porta accanto.
Gualtiero Pironi, “Cineforum”, n. 1-2, gennaio-febbraio 1982
Si tratta di un lavoro molto studiato e formale in cui un racconto d’attrazione fatale (tra Gérard Depardieu e Fanny Ardant) diventa uno studio delle implicazioni contrastanti di lunghe inquadrature e montaggio alternato, composizioni rigide e movimenti fluidi della macchina da presa. In tutto ciò, Truffaut insiste sulle barriere fisiche tra i suoi amanti: lo spazio che separa le loro case adiacenti, le finestre attraverso le quali si guardano desiderosi l'un l'altro e, alla fine, il quadro stesso del film, con la sua angusta claustrofobia. Alla fine, il film non tratta di un'attrazione tra due persone, ma dell'amore dello spettatore per l'immagine, delle transazioni perverse tra il pubblico e lo schermo.
Dave Kehr, “Chicago Reader”, 14 gennaio 1985
Bernard e Mathilde sono persone comuni trasformate da una forma di desiderio che li separa per sempre da tutti gli altri. Non possono vivere separati, ma certamente non possono vivere insieme. Sono troppo simili, anche se sono d'accordo solo quando fanno l’amore. [...] La signora della porta accanto non è mai ordinario o prevedibile in nessuno dei suoi aspetti, comprese le ambientazioni a Grenoble e dintorni. Truffaut capisce che la Francia è più grande di una Parigi familiare.
Depardieu non è solo l'attore cinematografico francese più impegnato del momento, ma anche il più intraprendente e convincente. Il suo Bernard è affascinante e affettuoso all'apparenza, ma nel profondo è un bandito emotivo. Fanny Ardant, attrice teatrale esordiente al cinema, è perfettamente calata nel ruolo di Mathilde. Non porta con sé alcun bagaglio psicologico derivante da altre apparizioni, per cui è davvero misteriosa per noi come lo è per Bernard. [...] La signora della porta accanto è l'opera di uno dei registi più sorprendenti e completi del suo tempo.
Vincent Canby, Truffaut Offers “Woman Next Door”, “The New York Times”, 9 ottobre 1981
Ciò che primamente colpisce ne La signora della porta accanto è un particolare, liquidato dai più come semplice bizzarria (ma propendiamo a credere non sia soltanto tale) che converrà non lasciar cadere troppo presto. Tale 'bizzarria' è infatti il genere di professione attribuito da Truffaut a Bernard Coudray. Talmente stravagante da comportare – nella mancanza d’un termine specifico – delle difficoltà di resa linguistica. Essa suona come “istruttore addetto alla manovra d’ormeggio delle petroliere, effettuata a scopo dimostrativo su modellini, in un bacino artificiale”. […] Il mondo poetico di Truffaut è sempre improntato a una generalizzazione di situazioni d’eccezione (come d’eccezione è del resto la biografia stessa del regista: quanti possono dire di avere avuto, dopo un’infanzia e un’adolescenza infelici, un loro André Bazin pronto a guidarli e ad appagare le loro aspirazioni?) dove il lavoro, facendo tutt'uno con l’orizzonte emozionale del personaggio, può agevolmente essere posto in sottordine. Perché la professione che i personaggi di Truffaut assolvono è spesso della stessa natura della loro passione: tende cioè a esserne una replica strumentale in sedicesimo. Ora l’attività di Bernard non rientra in tale classificazione, mirando invece, attraverso la sua conclamata stranezza, a sottolineare la massima de-realizzazione del personaggio, i suoi automatismi di comportamento, soprattutto nei confronti di Mathilde, cui vanno le simpatie del regista e che polarizza in un certo senso l’attenzione degli spettatori. La struttura melodrammatica del film – qui programmaticamente esibita – evidenzia il carattere idolatrico dell’ideale amoroso dei personaggi, anche se più che di ‘follia a due’ sarebbe più pertinente parlare d’una singola passione portata all’eccesso, perché il personaggio di Bernard rientra presto in quella rete di condizionamenti sociali (il matrimonio da salvare; il figlio; il decoro borghese; ecc.) ai quali del resto non è mai veramente sfuggito. La donna punirà l’impermeabilità dell’amante, nonché il proprio fallimento, con la morte di entrambi.
Renzo D’Andrea, “Cinema Nuovo”, n. 277, giugno 1982