Nel 1929 Un cane andaluso aveva distrutto la logica dominante, la prassi corrente e la concezione dello scorrere nel tempo, dando voce al Surrealismo attraverso il linguaggio cinematografico. Un anno più tardi Buñuel realizza L’âge d’or, una pellicola più matura sia per durata, poco più di un’ora rispetto ai trenta minuti del primo, che per utilizzo del mezzo. Il montaggio costruito sull’alternanza serrata di immagini nate da connessioni mentali e visive di Un cane andaluso, si distende qui permettendo al pubblico di rintracciare una narrazione lineare.

Il film racconta la passione amorosa di un uomo (Gaston Modot) e di una donna (Lya Lys) il cui amore incontra continui ostacoli, morali e istituzionali. Il rapporto al limite della morbosità dei due è la metafora narrativa e visiva dell’amour fou teorizzato da André Breton, dell’eros come unica forma capace di provocare il salto dal pessimismo all’azione. Con questa pellicola, commissionata e finanziata dal visconte Charles de Noailles, Buñuel porta sul grande schermo il contenuto del Secondo Manifesto Surrealista firmato proprio da Breton e da Max Ernst lo stesso anno, dimostrandosi artista surrealista non solo nella forma, ma anche nei contenuti.

Il film, censurato dal 1930 al 1950 dopo solo sei giorni di proiezioni allo Studio 28 di Parigi, contiene infatti tutti i temi cari all’artista spagnolo, primo fra tutti quello di origine marxista come l’attacco alle istituzioni. La Chiesa, l’Esercito e lo Stato, considerati negazioni della natura dell’individuo, in L’âge d’or impediscono ai due amanti di consumare la propria passione rendendoli individui frustrati. Ed ecco allora che Modot scarica le proprie pulsioni trasformandole in aggressività prendendo a calci un cane, schiaffeggiando la madre di lei, facendo delle donne dei cartelloni pubblicitari oggetti del proprio desiderio. Frenati dai imposizioni sociali, i desideri più inconsci trovano nella pellicola di Buñuel rappresentazioni visive che si rifanno all’immaginario surrealista e freudiano. E’ in questo senso che la presenza di una mucca sul letto della Lys acquista significato in quanto metafora delle pulsioni sessuali femminili, così come le nuvole che prendono il posto del riflesso della protagonista nello specchio. Incursioni apparentemente insensate che sfruttano le capacità illusorie del mezzo cinematografico e nelle quali è possibile rintracciare la tradizione surrealista pittorica legata ai meccanismi del subconscio.

Con L’âge d’or Buñuel sembra superare i temi cari al primo periodo surrealista, quello di rottura con il Dadaismo accusato di invecchiamento precoce, per portare sul grande schermo una consapevolezza politica e sociale tipica invece del secondo periodo. Realizzato senza restrizioni, il film non risparmia nemmeno l’aristocrazia alla quale lo stesso mecenate apparteneva. Preoccupati più dal decoro sociale che dalla realtà che li circonda, i nobili dell’età d’oro sono profondamente scossi da quello schiaffo a Madame X mentre appaiono del tutto estranei all’incendio che divampa nella cucina durante i festeggiamenti e al bambino ucciso nel cortile.

Le immagini di tipo documentaristico, accompagnate da didascalie scritte, con funzione di prologo alla vicenda narrata, diventano in questo contesto elemento necessario e imprescindibile per la comprensione del film. L’uncino dello scorpione, con la sua doppia funzione di strumento per il combattimento e per fare conoscenza, è simbolo di quelle tendenze opposte, odio e amore, rispetto delle regole e sentimento di ribellione, che caratterizzano i personaggi. Nello stesso modo può e deve essere letto l’epilogo del film. Nella divagazione biblica su un personaggio delle 120 giornate di Sodoma di Sade, Buñuel mescola, come farà più tardi Dalì per Le tentazioni di Sant’Antonio (1946), simbolismo cristiano e analisi dell’ego umano in relazione ai costrutti della società e ai desideri più inconsci.

Censurato per più di cinquant’anni non per volere statale, ma politico da parte delle forze di estrema destra al grido “morte ai giudei”, L’âge d’or è sopravvissuto perché celato dal visconte Charles de Noailles e poi consegnato allo Stato. A scatenare le ire non fu l’erotismo portato sullo schermo, ma la rappresentazione dissacrante delle istituzioni che trova forse il suo apice in quei sacerdoti ridotti a scheletri sullo scoglio. La capacità ancora oggi de L’âge d’or di scatenare un riso amaro che sovverte l’ordine delle cose, dimostra in realtà come l’estrema destra ne avesse riconosciuto, seppure negativamente, la portata rivoluzionaria.