Realizzando una meticolosa ricerca d’archivio, Sylvain Bergère si propone di ricostruire “le storie incrociate delle coppie Montand-Signoret e Monroe-Miller” attraverso documenti video e audio degli stessi protagonisti e degli avvenimenti storici e culturali che influenzarono le vite dei quattro artisti dal 1958 al 1960. Miller aveva già incontrato i due attori francesi nel novembre del 1956 in occasione della loro produzione teatrale de Il Crogiuolo (1953) e della successiva versione cinematografica adattata da Sartre. Bergère si concentra, tuttavia, sull’arco di tempo che copre la frequentazione della coppia, iniziata in occasione della tournée americana di Montand al Henry Miller’s Theatre di Broadway e continuata con la convivenza nei bungalow 20 e 21 al Beverly Hills Hotel a Los Angeles sul set di Facciamo l’amore (1960) di George Cuckor. Sarà su questo set che si consumerà il tradimento di Montand e Monroe, lasciati da soli dai rispettivi partner per il protrarsi delle riprese a causa dello sciopero di tecnici e artisti hollywoodiani.
La narrazione di Bergère, inquinata solo da occasionali ricostruzioni animate in stile graphic novel che stridono con il montaggio dei materiali d’archivio, sembra rispondere all’appello di Simone Signoret nella sua autobiografia La nostalgia non è più quella di un tempo (1976): cercare di andare oltre gli stereotipi con cui la stampa aveva attaccato le due coppie, “la bionda rubacuori, il bel tenebroso, il topo da biblioteca e l’ammirevole moglie per come mantiene la sua dignità”. I materiali selezionati da Bergère ci restituiscono i quattro artisti oltre le superficiali definizioni della stampa scandalistica e della destra di allora. Per esempio, i filmati delle prove per lo spettacolo al Miller’s Theatre ci mostrano un Montand insolitamente preda di insicurezze artistiche quasi assimilabili a quelle più note di Marilyn Monroe, su cui, tuttavia, il documentario mette in evidenza la manipolazione a cui fu soggetta la diva, in particolare sul set de Gli spostati (1961).
Deux couples à Hollywood si concentra anche sulle passioni politiche, oltre a quelle sentimentali. Perché chiaramente, parlando degli anni dell’apice del Maccartismo e della Guerra Fredda, il tradimento viene utilizzato non solo come scandalo per le cronache rosa ma anche come l’ennesimo attacco politico alla militanza di sinistra delle due coppie. Il documentario ricostruisce il clima di assedio contro la cultura progressista favorito e finanziato dalle politiche della Guerra Fredda, facendo di Hedda Hopper, il simbolo dell’utilizzo dello scandalo sentimentale come arma per il discredito personale, artistico e politico. Un interessante confronto televisivo tra Signoret, Hopper e Agnes DeMille, in cui l’attrice tiene testa alla giornalista scandalistica, sarà all’origine di un particolare intento denigratorio della Hopper nei confronti delle due coppie.
Proprio perché il documentario è così preciso nel cogliere l’accerchiamento degli intellettuali di sinistra durante la Guerra Fredda, la conclusione di Bergère che la cronaca dell’infedeltà amorosa evidenzia anche l’infedeltà politica dei quattro artisti e la rinuncia alle loro illusioni di un mondo più giusto ed equo ci coglie di sorpresa. Per quanto affascinante, viene pericolosamente ad assomigliare a narrazioni ufficiali delle politiche culturali della Guerra Fredda, come il volume collettivo Il dio che è fallito (1957). Inoltre, le carriere successive al suicidio di Marilyn della coppia Montand-Signoret e di Arthur Miller documentano la loro continua militanza politica per cause progressiste e contro il totalitarismo.