È il diciassettesimo secolo e un’infelice e smaliziata aristocratica londinese fugge dal suo matrimonio insignificante. Nel suo castello in Cornovaglia troverà l’avventura che cerca: un affascinante pirata francese (Arturo de Còrdova), di cui naturalmente si innamora, con la sua intraprendente ciurma. Non è la prima volta che Joan Fontaine, qui a colori, interpreta la protagonista di una storia tratta da un romanzo di Daphne Du Maurier. Succede anche quattro anni prima, sempre Selznick in produzione, con Rebecca, La Prima Moglie che nel 1940 la consacra al successo. Ma qui la vicenda è profondamente diversa: la storia di trasgressione ed evasione diretta da Mitchell Leisen ha un arco piuttosto prevedibile, mentre è di rilievo la vivacità cromatica (nelle decorazioni e nei costumi) e il rimescolamento dei generi, cinematografici ma non solo.
Indiscutibile infatti che la linea principale del romantico melodramma sia visitata da momenti comici, musicali (la ciurma non fa altro che cantare) e di azione. Ma è più interessante la messa in scena sgargiante, assecondata dal vivace technicolor, di un regista che ha iniziato la sua carriera come costumista e scenografo, e qui il suo contributo è evidente: gli abiti aristocratici della protagonista sono divertenti da guardare, tanto quanto le decorazioni quasi eccessive di ogni interno che vediamo. Leisen è un esteta consapevole e si ferma poco prima della linea che separa l’intrattenimento dal kitsch.
È proprio tramite i costumi che assistiamo a un rovesciamento dei ruoli di genere: la donna segue l’amato pirata nelle sue rocambolesche avventure travestendosi da ragazzo, e si direbbe che la storia d’amore si consolida proprio grazie a quella metamorfosi. D’altronde è grazie all’alter ego maschile che l’aristocratica inglese si sentirà legittimata a lanciarsi in missioni coraggiose e adrenaliniche (almeno per lei). Allo stesso modo, quando la ciurma porterà a termine il furto del veliero inglese, assistiamo a un’allegra esultanza in cui ogni mozzo si traveste con i coloratissimi vestiti femminili trafugati dai bauli. C’è una vera e propria festa, un’ambigua liberazione, dietro a questi abiti.
Riflettendo sui rovesciamenti di genere e dei ruoli che convenzionalmente vi si legavano, il travestimento maschile permette alla protagonista di perseverare nell’avventura, mentre il suo ruolo di madre e moglie non le concederà di stravolgere definitivamente sua vita. In fin dei conti insomma la sua identità di donna le precluderà un’ipotesi di felicità, e il ritorno alla norma avrà il ruolo di segregare quest'episodio nella distante sfera dei ricordi proibiti.