Offriamo ai lettori alcuni estratti di L'avventurosa storia del cinema italiano. Da La dolce vita a C'era una volta il West. Volume terzo, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Edizioni Cineteca di Bologna, 2021. Oggi tocca all'esilarante racconto di Bruno Todini, produttore esecutivto del film di John Huston.
Quando ho fatto La Bibbia, per De Laurentiis, dopo otto mesi di lavoro ho dato le dimissioni, perché era diventata una gabbia di matti, tipico esempio della commistione dei difetti italiani e americani. Voglio raccontare un aneddoto per far capire come andavano le cose; una volta si doveva girare una battaglia con dei cammelli e Huston pretendeva che galoppassero. Io gli feci osservare che i cammelli non galoppano, ci sarebbero voluti dei mehari, che sono i purosangue dei cammelli e che costavano però ottanta sterline l’uno, mentre quelli che avevamo Dino li aveva pagati venticinque, ed era perciò già un miracolo se si reggevano in piedi. Allora Huston fa: “Usiamo il sistema che adoperano i vaccari americani, un affare elettrico che dà una scossa alla mandria per cui gli animali, essendo gli uni accanto agli altri cominciano a correre”. Io gli rispondo: “Ma in Italia non abbiamo una cosa così”. Allora lui: “Chiamiamo gli effetti speciali”. Così dagli effetti speciali, che erano americani, fa costruire una strana cosa con delle batterie per dare la scossa al cammello e vedere se galoppava. Arriva il momento, il cammello sta fermo, il tecnico gli appiccica gli elettrodi sul culo tenendo in mano un pulsantino; e Huston, che mi guarda con l’aria di dire “adesso ti faccio vedere io”, spinge il bottone: il cammello comincia a tremare tutto e allenta una merda alta un metro che per poco non ci sommerge!
La Bibbia fu il più grande film mai fatto in Italia e lo produsse Dino De Laurentiis. Il cinema scrive sull’acqua, ma La Bibbia è stato e resta un film importante che costò, al tempo, dieci miliardi e settecentottanta milioni e durò circa ventiquattro mesi di lavorazione. Oggi sarebbe impossibile rifarlo, prima di tutto per il cast e poi per le spese e gli sforzi enormi che comportò. Costosissima e difficilissima fu la ricostruzione dell’Arca. Poi dovemmo girare dall’Egitto alla Sardegna e alla Sicilia. Ci fu un momento che tra operai addetti alle costruzioni e troupe eravamo circa seicento persone. Dino e Huston avevano la pretesa che tutto fosse girato proprio come era scritto nella Bibbia. Ma penso che il Padreterno, quando la scrisse, non aveva considerato l’eventualità che ci sarebbero stati due matti che avrebbero preteso di fare entrare nell’Arca, come aveva fatto lui, le tigri insieme agli agnelli. E questo problema moltiplicatelo per altre trecento specie animali!
Lo risolvemmo prendendo due circhi che furono installati nel comprensorio di trecento ettari che avevamo attorno agli stabilimenti e così la Dino De Laurentiis divenne un supercirco con decine di domatori, chilometri e chilometri di gabbie ecc. Per circa quattro mesi i domatori di queste bestie cercarono di abituarle a entrare nell’Arca di Noè. I domatori, però, le convincevano con i sistemi dei domatori, mentre pare che il Padreterno avesse scritto che loro ci entravano perché Noè suonava un flauto. Allora, affinché non si vedessero gli uomini armati di frusta e di forcone, facemmo dei viadotti ai lati del percorso, così loro, attrezzati di tutto punto, ma nascosti, camminavano di pari passo con le bestie. Nel momento in cui le bestie feroci dovevano entrare nell’Arca assieme agli agnelli, adottammo il sistema di impressionare prima la pellicola con le tigri e i leoni e poi sovrapporre l’ingresso degli agnelli. Sullo schermo sembrava simultaneo, mentre tra una inquadratura e l’altra erano trascorsi quindici giorni. Per girare quella scena ci mettemmo quaranta giorni.
L’uscita gli animali la fecero davvero tutti assieme. Avendo finito di girare l’Arca, avevamo deciso che anche se le tigri si mangiavano gli agnelli a quel punto non ce ne fregava niente. Con nostra grande sorpresa non accadde nulla perché tutti si diressero verso il fondo della valle, preparata scenograficamente con grande attenzione, e allora furono chiusi i cancelli, che a loro volta erano divisi da alte paratie. E fu compito dei domatori andare a riprendere gli animali. Il film fu pericoloso per i domatori, che tra loro avevano stabilito una specie di tabella di gara a chi faceva meglio. E per Huston, che diceva di avere un fluido che incantava gli animali e che si avvicinava molto a loro. Un giorno si accostò ai pinguini, che sembravano tanto carucci. Io ignoravo, e forse anche lui, che nelle mascelle hanno una forza sovrumana. Per poco non se lo mangiano, altro che fluido!
(Bruno Todini)