“I 400 colpi non è un film che si può presentare”. Ha esordito così Jean-Pierre Léaud a Bologna, dove si è mostrato canuto e un po’ sofferente ad un pubblico in palese adorazione. L’attore feticcio della nouvelle vague, l’alter ego di François Truffaut, l’Antoine Doinel che scrisse la storia del cinema francese impressionando, tra il ‘59 e il ‘79, cinque pellicole (quattro lungometraggi ed un corto: I 400 colpi, Antoine e Colette, episodio de L'amore a vent'anni, Baci rubati, Non drammatizziamo... è solo questione di corna e L'amore fugge) della saga a lui dedicata, con il suo manierismo attoriale (indimenticabile la sua mano nervosa tra i capelli) ed una dizione assolutamente personale, ci ha raccontato che “tutto successe nel modo più semplice del mondo”.
Camminava sugli Champs-Élysées con la madre e all’improvviso furono bloccati da una critica dei Cahiers du Cinéma che disse che c’era un giovane collega che girava il suo primo lungometraggio e stava cercando dei ragazzini. La donna suggerì alla madre del tredicenne Léaud di scrivere una lettera a questa persona, così inviarono a Truffaut una foto del bambino accompagnata da due parole. “Poi François mi chiamò per un provino e la spontaneità e la semplicità che dimostrai in questa occasione fecero sì che mi desse la parte per I 400 colpi. Io ho dato un senso al personaggio che poi ho accompagnato per altri 7 film [ndr. le altre due pellicole sono Le due inglesi ed Effetto notte dove però Léaud dismette i panni di Doinel], ed è un personaggio che sta a metà strada tra me e Truffaut e che fa parte della storia del cinema ormai e che si chiama Antoine Doinel. Poi non sapendo che fare esattamente nella vita dopo I 400 colpi, sono diventato assistente di Jean-Luc Godard… c’è stato un forte legame di affetto tra di noi. E un giorno mi ha detto, passa davanti alla cinepresa: mi ha preso per il ruolo principale del suo film e così mi sono ritrovato ad essere l’attore della nouvelle vague”.
Nel 1966 Jean-Pierre Léaud lavorava già da qualche tempo sul set con Godard, prima come tuttofare e poi come assistente alla regia; era già noto al pubblico del grande schermo per essere stato l’irrefrenabile “monello” de I 400 colpi. Quando Godard, che in un primo momento per il ruolo del protagonista ne Il maschio e la femmina aveva pensato a Michel Piccoli, cambiò idea e propose la parte al suo assistente Léaud, ebbe inizio il secondo periodo nella carriera dell'attore, che si affrancò così dall'identificazione con Antoine Doinel e contestualmente anche dalla figura di alter ego di Truffaut. Truffaut non perdonerà mai all'amico Godard di avere trasformato il suo Léaud/Doinel in un personaggio triste e sfortunato; fu quello l'inizio di un processo di allontanamento tra i due registi della nouvelle vague che culminerà nella decisiva rottura nel 1973.
Come testimonia lo scambio epistolare tra i due registi raccolto nel volume Autoritratto. Lettere 1945-1984 uscito da Einaudi nel 1989 a cura di Sergio Toffetti, Godard accusava Truffaut (dopo aver visto Effetto notte) di essere un bugiardo e di “fare dei film che sono come grandi treni nella notte”, e Truffaut rispondeva “sento arrivata l’ora di dirti, a lungo, che secondo me tu ti comporti come una merda”. E aggiungeva una accorata difesa del suo amico e attore (al quale Godard pare avesse indirizzato una lettera indegna) di cui Truffaut scrisse: “Certo, Jean-Pierre è cambiato dopo I 400 colpi, ma posso dirti che io mi sono accorto, per la prima volta proprio nel Maschio e la femmina, che stare davanti a una macchina da presa poteva dargli angoscia e non gioia. Il film era buono, e lui funzionava nel film, ma la prima scena, nel caffè, era opprimente per chi lo guardava da amico e non come un entomologo. [...] Non ho mai formulato la minima riserva nei tuoi confronti davanti a Jean-Pierre che ti ammirava tanto, ma so che tu gli hai buttato lì più di una volta delle porcate sul mio conto, come se uno dicesse a un ragazzo: ‘E allora, tuo padre, trinca sempre di gusto?’[...] Jean-Pierre non è il solo a essere cambiato in questi 14 anni, e se si proiettasse nella stessa sera Fino all’ultimo respiro e Crepa padrone, quegli aspetti di disincanto e di cautela al tempo stesso, che si vedono nel secondo, finirebbero per creare un clima di costernazione e di tristezza”.
Dunque un singolare esempio di storia del cinema intrecciata indissolubilmente alla biografia dei suoi protagonisti e con essa al loro carattere, alla poetica d’autore. Da una parte Truffaut con il suo rapporto quasi simbiotico col cinema (la sua filmografia sovrapponibile con la vita personale, non solo per le storie d'amore con molte delle protagoniste dei suoi film, ma anche per la scelta di alcuni temi trattati come il rapporto con la figura materna assente o distratta); dall’altra Godard con il suo dandysmo, il suo voler essere sovversivo a tutti i costi, e “lo stare su un piedistallo” come lo accusava Truffaut.
In mezzo l’attore. Nel 1973 Léaud girerà due pellicole decisive: Effetto notte con Truffaut e La maman et la putain con Jean Eustache; quest’ultimo diventerà il film della sua definitiva consacrazione d’attore, emblematico di una generazione intera e del suo modo di recitare fuori dai canoni “tra poesia e insolenza”, premiato a Cannes con il Gran Premio Speciale della Giuria. Il 1979 è l’anno dell’ultimo film di Léaud con Truffaut. Dopo la morte del regista, mentore e amico nel 1984, Léaud girò un ultimo film con Godard (Detective) per poi arricchire la sua carriera di collaborazioni con altri grandi registi del cinema francese come Catherine Breillat, Olivier Assayas, Bertrand Blier, e altri grandi nomi del panorama internazionale come Bernardo Bertolucci (con il quale girò sia Ultimo tango a Parigi che The Dreamers) o Aki Kaurismäki.
L'inizio degli anni Novanta decretò una nuova, ultima fase della sua carriera proprio grazie al regista finlandese che lo volle per tre film, Ho affittato un killer (1990), Vita da bohème (1992), e Miracolo a Le Havre (2011). In Ho affittato un killer lo "stralunato" Jean-Pierre Léaud, primo protagonista non finlandese in un film di Kaurismäki, era a suo perfetto agio nei panni dell' impassibile e mesto Henri Boulanger, neo-disoccupato grazie ai provvedimenti thatcheriani nell’Inghilterra degli anni ottanta e aspirante suicida.
Kaurismäki costruisce intorno all’attore scelto come suo modello e sua anima gemella, (ancora una volta) cavaliere triste, lo scenario di un'umanità diseredata, condannata in ambienti urbani degradati o in squallidi locali, ad una miseria che somiglia a quella dei "miserabili" di Victor Hugo. Ecco forse il nesso letterario di una intera carriera d’attore: i miserabili di Hugo ci riportano alla memoria l’altro grande autore preferito dal suo primo regista e “focosamente” venerato da Antoine Doinel ne I 400 colpi, quell’Honoré de Balzac di cui Doinel copierà un brano nel compito in classe, per rubare un buon voto e vincere i mille franchi messi in palio da sua madre. Vita, autori, ispirazioni e personaggi insomma che continuano a rincorrersi ciclicamente. Effetto cinema o effetto Léaud.