Il mio Godard di Michel Hazanavicius ha riportato all'attenzione Les Gauloises Bleues, un film quasi dimenticato di Michel Cournot. La vicenda è nota: il film di Cournot era in concorso al festival di Cannes nel 1968 quando l'affaire Langlois raggiunse la Croisette e le proiezioni vennero sospese. È difficile analizzare un'opera prima, soprattutto se resta un caso isolato, poiché mancano gli elementi per poter identificare uno stile personale, un'estetica. E Les Gauloises Bleues è l'unico tentativo alla regia di Cournot, amico di Godard e severo critico cinematografico per le pagine del Nouvel Observateur. In questo caso particolare, poi, si aggiunge un'altra difficoltà: mantenere un approccio pacato nei confronti di un giornalista così tranchant da demolire l'opera di Dreyer e da definire stupide le scenografie del Dottor Caligari. Ma lasciamo correre.
Les Gauloises Bleues è incentrato sulle esperienze di Ivan, ora bambino, ora adulto, alle prese con difficoltà affettive ed economiche inframmezzate da digressioni di denuncia sociale. L'idea cardine è una riflessione sui simboli del potere, che si sviluppa secondo l'asse padre-Dio-Stato. Il film esprime una viscerale ricerca di poesia (con l'evocazione di atmosfere cariche di emotività e con l'uso simbolico degli oggetti), contrapposta però ad una forte volontà di realismo, ossia alla necessità di ancorare le vicende narrate alla riflessione politica e sociale del periodo.
Caratteristiche simili si possono riscontrare in un gran numero di pellicole Nouvelle Vague, una definizione che di certo identifica esperienze estremamente eterogenee, anche se alcune peculiarità estetiche e tematiche sono già piuttosto riconoscibili quando Cournot arriva al cinema. E Les Gauloises Bleues vede la luce in un periodo in cui l'impatto innovativo del movimento è in parte rientrato, cristallizzandosi in una serie di luoghi comuni.
Già il fatto che Cournot provenga dal giornalismo, ricalca il cliché dei cineasti-critici e il titolo stesso del film non fa che confermare l'adeguamento a canoni consolidati, visto che le Gauloises erano sigarette-simbolo, immancabili tra l'indice e il medio di intellettuali e operai. In più la pellicola è densa di riferimenti al cinema del periodo, in particolare a Godard, nella costruzione delle inquadrature, nell'uso del montaggio e soprattutto del colore, ma se Godard predilige le tinte decise, Cournot opta per i colori pastello e un grigio diffuso.
Les Gauloises Bleues ha comunque un merito: quello di aver portato al cinema francese la musica di Penderecki. Strana coincidenza che Je t'aime, je t'aime di Alain Resnais, in concorso a Cannes sempre nel 1968, utilizzasse musiche del medesimo compositore. Forse, anche in questo caso, è lecito dubitare dell'originalità di Cournot.