Quella di Claudio Caligari è una figura probabilmente unica nel cinema italiano: nessun altro regista ha saputo essere un autore così geniale, profondo, acuto e studiato dalla critica pur avendo girato soli tre film in tutta la sua carriera. La filmografia che va man mano a comporsi forma una sorta di ideale trilogia di ambientazione romana sugli ultimi, gli emarginati, gli abitanti delle periferie e i peggiori relitti umani (i borderline, diremmo): da Amore tossico (1983) a L’odore della notte (1998), fino al postumo Non essere cattivo (2015).
Valerio Mastandrea, che in quegli anni stava per diventare uno dei migliori attori della sua generazione e della nostra, è il protagonista de L’odore della notte, prodotto da Marco Risi e Maurizio Tedesco: un film che si appresta a tornare nelle sale restaurato in 4K, a testimonianza di un interesse sempre vivo per la cinematografia di Caligari e per questo singolare crime/noir che ancora oggi lascia il segno.
L’odore della notte, sceneggiato poi dallo stesso Caligari, si ispira al romanzo del giornalista Dido Sacchettoni Le notti di “Arancia meccanica”, tratto da una storia vera: il libro-verità (frutto delle interviste in carcere al capo-banda) ripercorre infatti le nefaste gesta di quella gang nota appunto a Roma come la “Banda dell’Arancia meccanica”, che operò fra il 1979 e il 1983, e che prese ovviamente il nome dal capolavoro di Stanley Kubrick, visto che i rapinatori entrava in casa dei ricchi, picchiavano e se ne andavano con un ricco bottino. Da quella storia, Caligari plasmò il suo film e i suoi personaggi, unendo il vero alla fiction.
Protagonista del film, che si svolge appunto in quei quattro anni, è Remo Guerra (Valerio Mastandrea), un poliziotto della squadra mobile in servizio a Torino ma spesso in congedo a Roma, la sua città natale e alla quale è profondamente legato: nato e vissuto in periferia, nella capitale ha radunato una piccola ma spietata banda formata da Maurizio Leggeri (Marco Giallini), Roberto Salvo (Giorgio Tirabassi) e Marco Lorusso (Emanuel Bevilacqua) detto “il Rozzo”, tutti figli della periferia come lui. Dopo aver combinato qualche guaio in Questura, viene congedato definitivamente e così può dedicarsi a tempo pieno al crimine.
L’obiettivo delle rapine sono i ricchi, infatti la loro mentalità criminale nasce soprattutto come gesto di rivalsa dalla povertà della periferia contro la classe borghese. Armati fino ai denti di pistole e fucili, non vogliono uccidere, ma rapinare, picchiare a sangue e spaventare. Dopo che Roberto lascia la banda per i suoi precedenti, i tre proseguono fra scippi e aggressioni in strada, fino a quando decidono di passare alle rapine in appartamento, dove sequestrano e derubano. Remo conosce una ragazza e apre un bar, ma la svolta non gli riesce, per cui deve continuare con le rapine, finché durante il sequestro di alcuni borghesi in una villa, i tre vengono arrestati.
Se Amore tossico, interpretato da attori non professionisti, girato con stile semi-documentaristico e incentrato sulla vita quotidiana di un gruppo di tossicodipendenti, era un film marcatamente pasoliniano, possiamo identificare il modello de L’odore della notte come il cinema del primo Martin Scorsese, quello di Mean Streets e Taxi Driver per intenderci – così come sarà in parte anche Non essere cattivo, dove torna poi il tema centrale della droga.
Così come le vicende dei borderline Robert De Niro e Harvey Keitel, L’odore della notte è un film duro, violento, scomodo e senza compromessi, un film che odora di polvere da sparo, di sangue, di asfalto, di benzina e di urina, come quella della vittima che se la fa addosso, un film sempre di corsa fra la città e la periferia: una storia nerissima e in gran parte notturna, a metà fra il crime puro e il neo-noir, declinato però secondo le regole del cinema di Caligari, cioè il realismo – dunque niente sparatorie e spettacolo come nel poliziesco tradizionale.
Non siamo in una pellicola di intrattenimento – anche se di sicuro è il film più ritmato e il più godibile fra i tre diretti dal Nostro – e non dobbiamo sorprenderci se in un crime non ci sono omicidi ma solo feriti e arrestati, poiché Caligari rimane fedele al libro di Sacchettoni e dunque alla realtà. Si spara poco – anche se la regia concede ai protagonisti un certo feticismo per le armi (pistole automatiche e a tamburo, un fucile a canne mozze, un silenziatore) – ma la violenza si respira in ogni inquadratura, sia essa per i pestaggi e i furti o le pistole spianate, sia essa per la messa in scena della disperazione dei personaggi (il regista sa valorizzare i volti tramite i primi piani): tutti i protagonisti sono consapevoli del loro destino segnato e immutabile, e dell’impossibilità di ogni riscatto sociale.
Anche in un film di questo impianto diciamo più poliziesco, Caligari si concede dei momenti di cinéma-verité, grazie alla voce di Remo/Mastandrea che accompagna la vicenda e descrive ciò che prova dentro come in un flusso di coscienza, ma anche tramite alcune scene iniziali dove i protagonisti “escono” dalla storia e compaiono su uno sfondo nero, parlando allo spettatore della loro vita e del loro destino di rapinatori – fino alla memorabile conclusione in cui Remo spara con un fucile verso di noi.
Remo non è un semplice rapinatore, lui nella voice-over afferma di essere “in guerra”, cioè un proletario in lotta contro il sistema capitalistico. Non a caso, Giorgio Tirabassi fa riferimento al suo arresto citando il sequestro Moro (nonostante lui fosse del tutto estraneo). E, sempre non casualmente, a un certo punto Remo Guerra viene pedinato da due uomini misteriosi che scopre essere dei servizi segreti: durante un colloquio con uno di loro, un alto ufficiale dei carabinieri, scopre chi lo ha venduto inventando una menzogna, e riceve un’offerta di lavoro per rintracciare un carico di mitra.
Siamo negli anni di piombo, sia rossi che neri, i quali coinvolgono tutta l’Italia, compreso un semplice rapinatore come l’ex-poliziotto. Lui però non vuole entrare in queste faccende, la sua è una guerra personale che porta avanti a modo proprio. Anche per gli altri protagonisti il crimine è una rivalsa sociale, per cui assistiamo in sequenza a sequestri, scippi e pestaggi, armi in pugno e corse in auto, con un montaggio frenetico e sincopato anch’esso dal taglio scorsesiano. Del resto, Taxi Driver è citato esplicitamente due volte, quando Remo punta la pistola verso lo specchio e quando fa cadere il televisore con un calcio, quasi a voler disegnare un trait-d-union fra il personaggio di Robert De Niro (che però era anche un assassino) e il nostro, molto simili, così com’è simile l’ambientazione urbana e prevalentemente notturna dei due film.
Grazie a una regia che sa cosa vuole e a interpretazioni sanguigne e memorabili (attori all’epoca poco conosciuti, ma oggi tra i più rinomati in Italia), L’odore della notte è di un’intensità fisica ed emotiva pazzesca, ed è ricco anche di sequenze cult, come il sequestro in casa di Little Tony (nei panni di sé stesso) con Marco Giallini che lo obbliga a cantare Cuore matto, le suddette citazioni da Taxi Driver, e il dolente ferimento di Mastandrea, che si trascina a lungo nel suo sangue prima di svenire ed essere arrestato.
La presenza come capo-banda di un poliziotto riporta alla mente anche la sanguinaria storia omicida della Uno Bianca (successiva alla Banda di Arancia Meccanica), mentre dal punto di vista cinematografico ricorda Il cattivo tenente (1992) di Abel Ferrara, un altro autore a cui probabilmente Caligari guarda facendo cinema. Anche nel nostro film ci sono accenni alla droga, ma di scarsa importanza, un tema che invece tornerà con prepotenza in Non essere cattivo, che è forse quasi una summa dei due film precedenti, nelle tematiche e nello stile – certe situazioni poi ritornano in tutti e tre, come la vita nei bar e il mare (qua, vediamo Remo a passeggio in spiaggia con la ragazza che diventerà la sua fidanzata). Alle musiche di Pivio e Aldo De Scalzi, che sanno alternare pezzi ritmati durante le rapine e le corse in auto con pezzi malinconici, fanno da supporto brani d’epoca, da Ma il cielo è sempre più blu a Cicale, fino al citato Cuore matto.