Dal dipinto ultra-eloquente, in immagine e titolo, di Courbet, saltellando divertito sui simbolismi più celebri della psicoanalisi freudiana, l’attore francese Laurent Lafitte adatta una commedia teatrale di Sébastien Thiéry e fa combaciare nell’Origine del mondo la causa di ogni male e il sesso femminile nella sua forma più emblematica: quello della Madre. Questo scopre Jean-Louis, impanicato avvocato quarantaduenne interpretato dallo stesso Lafitte, che si ritrova un bel giorno nel suo elegante appartamento borghese privato non solo di capacità di piacere sessuale, ma anche di battito cardiaco.
“Sei senza cuore”, commenta sarcastica la moglie Valérie con il tappetino per lo yoga sottobraccio; “è preoccupante quando sei vivo, sarebbe grave da morto”, gli dice invece Michel, l’amico veterinario, durante un massaggio cardiaco d’urgenza. Disagio somatizzato, diagnostica infine Margaux, la guru ayurvedo-sensitiva di Valérie, per far scomparire il quale, e salvare Jean-Louis da morte certa, deve esserle fornita una foto su pellicola dell’origine del problema, l’origine di lui: la vagina di sua madre.
Tornare lì, per Jean-Louis, è un percorso che lo stordisce prima con l’improvvisa percezione di una vita fasulla, poi con la sorpresa che bandolo della matassa e cordone ombelicale hanno in effetti pari lunghezza. Il resto di L’origine del mondo è un vivace concatenarsi di attentati alla sottana proibita di quella donna disfunzionalmente estranea e lontana, che rende omaggio alla genesi teatrale della sceneggiatura inscenandola in soli interni e con l’assenza di musica a commento. Due appartamenti, un ristorante etnico, una palestra vuota, lo studio di Margaux e un bosco posticcio sono i set esibiti e simbolici delle maldestre nevrosi di professionisti europei poco cresciuti, in inevitabile crisi sessuale, di coppia, d’identità.
L’esordio di Lafitte alla regia non ha le ambizioni narrative e stilistiche dei film corali del suo collega Guillame Canet che lo hanno co-protagonista, Les Petits Mouchoirs (2010) e Nous finirons ensemble (2019), ma L’origine del mondo, previsto prima per la selezione ufficiale del Festival di Cannes 2020, uscito poi a singhiozzo solo alcuni mesi dopo in Francia e in Belgio fra chiusure ed aperture pandemiche e disponibile oggi su piattaforma, ha il pregio di presentarsi suo malgrado come il perfetto passatempo da confino Covid.
Rinchiude i suoi personaggi fra quattro mura, li costringe a guardarsi dentro, stupefatti di simile necessità, e a ripensare la vita condotta fino al trauma grottesco che piomba sulle loro stanche routine, compreso il punto interrogativo riguardante l’uscita, auspicabilmente vivi, da quelle mura.
Sembra che nell’impossibilità di occuparsi dell’attuale e immaginare visioni e previsioni sul futuro, il cinema e le sue storie si fermino anch’essi, come noi, a guardare al passato, e a constatare, come fa Jean-Louis, di “non voler stare in nessun posto”. Non dispiace né stride, quindi, che il messaggio del cinema francese da consumare in salotto sia che nasciamo e cresciamo bacati, e per vivere non occorre eliminare i bachi, ma conoscerli.