Se vogliamo trovare un fil rouge all’interno di quasi tutta la filmografia di Francesco Rosi, esso è la rappresentazione e la denuncia del Potere nelle sue varie sfaccettature, un’analisi veemente ma lucida dei gangli che vi agiscono all’interno. Questo avveniva fin dai primi anni Sessanta, quando Rosi era ancorato a una forma cinematografica simil-neorealista, con classici insuperati quali Salvatore Giuliano (1962) e Le mani sulla città (1963). Un modo di fare cinema che maturò ulteriormente negli anni Settanta, quando il regista napoletano firmò una sorta di tetralogia sulle varie forme di Potere: quello militare, con Uomini contro (1970); quello economico, con Il caso Mattei (1972); quello mafioso, con Lucky Luciano (1973); e quello politico, con Cadaveri eccellenti (1976).

Lucky Luciano è sicuramente uno dei film più importanti e personali di Rosi, diretto con una grande maturità registica e interpretato da un sempre gigantesco Gian Maria Volonté: un film biografico e storico rigoroso (come sempre accade con Rosi) nella narrazione dei fatti, una sorta di gangster-movie d’autore che – un po’ come hanno fatto Giuliano Montaldo con Gli intoccabili e Carlo Lizzani con Crazy Joe – ha voluto raccontare il fenomeno mafioso da una prospettiva particolare, cioè quale espressione di un potere reazionario. In realtà, come pare abbia affermato lo stesso Rosi, egli non ha voluto realizzare una vera e propria biografia completa del gangster Salvatore Lucanía (questo era il suo vero nome), ma un apologo sul Potere nel mondo criminale, sui suoi meccanismi interni e sulle strette connessioni con la sfera politica ed economica – proseguendo in tal senso con quanto aveva fatto in molti suoi film precedenti.

Scritto dallo stesso Rosi insieme a Tonino Guerra e Lino Iannuzzi, il film si apre con una didascalia che fa il punto della situazione riguardo l’anno in cui iniziano i fatti narrati, cioè il 1946. Charles Lucky Luciano fu condannato nel 1936 a 50 anni di carcere dal procuratore Thomas E. Dewey, ma dopo nove anni di detenzione fu graziato dallo stesso Dewey (diventato nel frattempo Governatore di New York), per servizi speciali resi all’esercito degli Stati Uniti. Così, recita il testo, “nel 1946 la Giustizia americana fece un regalo alla Mafia”, poiché rimandò nella nativa Italia Lucky Luciano, “il re della malavita di New York”. La vicenda del film inizia infatti nel 1946, con l’imbarco di Luciano (Gian Maria Volonté) dal porto di New York alla volta dell’Italia, mentre il Narcotic Bureau osserva impotente: durante il viaggio, il boss – in compagnia di vari sodali – rievoca l’omicidio di Joe Masseria e la cosiddetta notte dei Vespri Siciliani, quando lui stesso pianificò l’omicidio di 40 capi-mafia negli States.

Giunto nel nostro Paese, dopo una visita a Lercara Friddi, il paese siciliano che gli diede i natali, si stabilì a Napoli, dove – stando alle indagini del Bureau – iniziò a dirigere il traffico di droga fra il Mediterraneo e gli Stati Uniti, nonostante vivesse una vita apparentemente tranquilla e fosse visto dal popolo come un benefattore. Perché la storia non segue infatti solo alcune fasi della sua vita, ma anche le indagini della Giustizia americana e italiana sulle sue operazioni criminali, concentrandosi in particolare sui personaggi storici di Anslinger e Siragusa; c’è poi un lungo flashback sulla vicenda napoletana del colonnello Charles Poletti e del boss Vito Genovese, e una lunga parentesi su Gene Giannini, confidente del Bureau finito ammazzato negli Stati Uniti. Più volte interrogato invano dalle autorità giudiziarie, Luciano continuò le riunioni coi boss e le sue attività criminali nascosto nell’ombra: il destino gli fece portare i segreti nella tomba, visto che nel 1962 morì per infarto nell’aeroporto di Napoli, sequenza con cui si conclude il film.

Non è azzardato definire Lucky Luciano come una biografia schizofrenica del boss mafioso italo-americano, un po’ come Il caso Mattei lo era stato per il grande e illuminato industriale: una pellicola che mette in scena alcuni stralci più significativi della sua vita, muovendosi spesso avanti e indietro nel tempo con vari flashback e bruschi ritorni al tempo presente della storia narrata. È un film sicuramente incentrato primariamente sulla figura di Luciano (un Volonté che giganteggia come sempre, in una mimesi perfetta del personaggio, per esempio nello sguardo e nei vestiti eleganti), eppure è al contempo una pellicola corale, con un cast ricco e azzeccato.

Come anticipato, ci sono varie sequenze che non vedono protagonista Luciano (le scene con Poletti e Genovese, con gli agenti del Narcotic Bureau, oppure con Giannini), ma che sono scientificamente funzionali a quella rappresentazione del Potere mafioso che dicevamo. Per esempio, il lungo flashback ambientato a Napoli che vede Poletti (Vincent Gardenia) e Genovese (Charles Cioffi) collaborare nel mercato nero espone la teoria di alcune autorità secondo la quale gli ufficiali americani, durante lo sbarco in Sicilia e la risalita verso il centro Italia, hanno portato con loro (e talvolta fatti eleggere sindaci) numerosi boss mafiosi italo-americani. Il che si ricollega poi alla presunta collaborazione di Luciano, ironicamente smentita dallo stesso durante un’intervista con vari giornalisti, allo sbarco degli Alleati in Sicilia.

Così come sono un’analitica dissertazione sul Potere mafioso (nonché politico ed economico) il discorso tenuto dal boss sulla nave che riporta Luciano in patria, oppure i discorsi interni al Bureau – in particolare quelli fra Anslinger (Edmond O’Brien) e Charles Siragusa (interpretato da sé stesso). Buona parte dalla tesi del film è contenuta nella frase pronunciata dal boss durante il lussuoso pranzo, secondo cui bisogna stare sempre dalla parte del potere per stabilire l’equilibrio del mondo (“l’uomo, per essere uomo, deve essere un uomo d’ordine”), il che riconduce al discorso sulla mafia come potere reazionario, una forza che ha la funzione di garantire l’ordine costituito, come accadeva in Salvatore Giuliano.

Ma come nella mafia, anche nella politica e nella Giustizia americana ci sono lotte di potere intestine fra i vari giudici (vedasi il personaggio interpretato da Larry Gates) e Governatori, conflitti che ostacolano (volontariamente?) la caccia a Luciano: da cui, il discorso gattopardesco di Anslinger a Siragusa – “ognuno si ritroverà al posto di prima e tutto tornerà come sempre” – reiterato nel finale, mentre la macchina da presa indugia sul cadavere del gangster.

Lucky Luciano è un film a suo modo molto particolare, poiché la certosina spiegazione di come funziona il traffico di droga diretto da Luciano è condotta perlopiù attraverso le indagini del Narcotic Bureau e del capitano di Polizia italiano (Silverio Blasi), mentre non vediamo quasi mai all’opera il gangster nella sua attività criminale – salvo alcune scene come il coinvolgimento nell’omicidio di Joe Masseria o i pranzi con gli altri boss. Un elegantissimo e sornione Volonté si concede una cena di lusso sul Golfo di Napoli, va alle corse dei cavalli, fa una bizzarra visita a un lupanare dell’Antica Roma in compagnia di Giannini (Rod Steiger), intrattiene rapporti amorosi con una Contessa (Magda Konopka), sta a letto a riposare, prima di essere prelevato a forza e interrogato dalla polizia: ma Luciano agisce nell’ombra, è un “intoccabile”, non parla perché sa che contro di lui non ci sono prove, per cui ogni indagine risulta vana.

Come tipico di Rosi, Lucky Luciano è un film formato innanzitutto di dialoghi pregnanti – oltre a quelli già citati durante i pranzi luculliani coi boss, basti ricordare il discorso di Volonté ai giornalisti, oppure il botta e risposta fra il medesimo e Blasi – ma il regista non risparmia alcune magnifiche sequenze di azione e violenza, distanziandosi dall’astrattismo del futuro Cadaveri eccellenti. Durante i flashback iniziali, Luciano ripercorre l’omicidio di Masseria, freddato a revolverate in un ristorante (con un geniale accostamento a Volonté che si lava pilatescamente le mani), e alcuni momenti della notte dei Vespri Siciliani, con esecuzioni padrinesche in sequenza ed uccisioni al ralenti sulle note a contrasto di una canzone siciliana; seguiranno l’omicidio del confidente Giannini, ucciso a colpi di pistola in una strada americana e caduto nell’immondizia, e quello di un rivale di Luciano, fatto secco con un colpo di mazza in testa.

Se Il caso Mattei possedeva dei tratti semi-documentaristici, qua siamo più vicini a un gangster-movie sui generis, ma certi tratti squisitamente veristi non mancano, come la voice over che commenta alcuni avvenimenti e l’impiego di Charles Siragusa come attore che interpreta sé stesso. Ambientato fra New York, Napoli e la Sicilia, Lucky Luciano si avvale si ricche location, scenografie e costumi, e di un reparto tecnico di prima scelta: dalla fotografia di Pasqualino De Santis al montaggio di Ruggero Mastroianni (fondamentale per l’incedere avanti e indietro nel tempo), fino alle musiche jazzistiche di Piero Piccioni.

La teoria di fondo di Lucky Luciano è la stretta connessione e somiglianza fra il Potere mafioso e quello politico ed economico: Rosi si muove nei gangli del Potere vero (i “poteri forti”, diremmo oggi), quello che agisce nell’ombra ma riesce a muovere il mondo e il destino delle nazioni, allo stesso modo dei cospiratori anti-democratici di Cadaveri eccellenti e dell’oligarchia petrolifera de Il caso Mattei.