Per poter analizzare e comprendere a fondo MaXXXine non solo bisogna aver visto i precedenti capitoli della trilogia (X: A Sexy Horror Story e Pearl), ma è necessario avere ben presente l’idea di cinema che porta avanti Ti West e il suo lavoro di ridefinizione dei topoi all’interno del genere horror.

Si sente affermare troppo spesso che West è un citazionista pop che scherza con il cinema del passato, ma se questa definizione potrebbe in parte andare bene per il suo collega Eli Roth non si addice decisamente a lui, inquanto dietro allo spudorato velo del facile giochino cinefilo si nascondono riflessioni molto più pregnanti, come ad esempio il concetto di ridisegnare e risignificare il corpo femminile all’interno del cinema contemporaneo, filtrandolo attraverso l’estetica vintage.

MaXXXine chiude un viaggio di liberazione dalle censure e dalla reificazione del corpo femminile (oggi un tema tornato molto di moda soprattutto in questa generazione woke), iniziato con X: A Sexy Horror Story, omaggio alla golden age of porn e allo slasher anni Settanta e proseguito con Pearl, un horror rurale attraversato dal classicismo hollywoodiano, tra musical e mélo.

Certo il gusto per la confezione vintage e per la citazione sono elementi permanenti nel cinema di West (già dai tempi del bellissimo The House of the Devil) e nemmeno quest’ultimo lavoro ne è scevro, anzi si fa ancora più orgogliosamente nerd nel maneggiare l’estetica da cinema bis, eludendo volutamente quell’autorialità linguistica che innervava X e ancora di più Pearl (fotografia, montaggio, movimenti di macchina).

MaXXXine è ambientato nella Hollywood degli anni Ottanta, quando ormai la pornografia non era più sperimentazione artigianale ma puro mercato e l’ambiziosa protagonista incarnata da Mia Goth diventa la nemesi delle classiche final girls da slasher anni Ottanta e Novanta.

Mia Goth è il nuovo volto dell’horror statunitense proprio grazie al character di Maxine, icona disinibita e viziosa che dopo aver imposto la propria libertà sessuale raggiunge lo status di star passando anche attraverso la pulsione delittuosa. Il puritanesimo delle saghe di Jason, Freddy e Michael Myers, in cui le ragazze sessualmente vogliose erano destinate a morire, mentre le final girls erano solitamente quelle morigerate, viene cancellato con un colpo di spugna attraverso questo personaggio che vive esclusivamente per godere.

L’intera trilogia di West verte sul concetto di godimento, sul bisogno vitalistico di godere a ogni costo, sia sul piano fisiologico che su quello intellettuale. Il principio lacaniano di jouissance viene già esplicitato in X, quando la vecchia Pearl (sempre Mia Goth) si riflette nel suo doppio giovanile Maxine, volendo godere per l’ultima volta prima di morire, incarnandosi poi definitivamente in lei e trasformandola in un modello di sadiana perversione.

MaXXXine pur risultando schematico e a tratti meccanico nel suo farsi gioco satirico e ghignante su una Hollywood sempre più Babilonia, luogo di un divismo raggiunto con ogni mezzo, riesce però (grazie a un azzeccato finale aperto) a farsi sguardo di godimento scopico, dove le immagini sopravvivono anche alla morte.