Nel 1919 la rivista In Penombra pubblica una serie di “disegni fantastici” realizzati dalla celebre diva del cinema muto italiano Diane Karenne. I disegni, assimilabili a rudimentali storyboard, ritraggono volti con grandi occhi e fattezze stilizzate simili a maschere del teatro greco, in cui l’attrice illustra graficamente le sfaccettature dei sentimenti più dolorosi che affiorano sul volto umano.
Le foto d’epoca immortalano la diva dai grandi occhi chiari cerchiati dal bistro che conferivano al viso una espressione fascinosa e altera; è un’artista poliedrica di origine probabilmente ucraina, o comunque dell’est, dall’aria aristocratica dotata di una sensibilità venata di una tragicità espressionista, in bilico tra la decadente femminilità ottocentesca ed una sensibilità moderna.
In questo periodo, in assenza di parole a cui affidare la narrazione dei film, le abilità interpretative delle attrici e degli attori del cinematografo si basavano anche sull’ espressività dei volti ripresi nei primi piani dalla macchina da presa, tanto che furono dati alla stampa persino dei manuali che spiegavano come esercitare le capacità espressive e la mimica, destinati a chi volesse cimentarsi nella carriera di attore.
Quando interpreta Miss Dorothy nel 1920 (per la regia di Giulio Antamoro) Diana Karenne ha perfezionato una tecnica espressiva tale da realizzare una interpretazione magistrale della protagonista, una altera istitutrice anglosassone dalla doppia identità che vigila sulla felicità della figlia abbandonata a causa di un amore clandestino del passato. Un tempo era Thea, una concertista innamorata e ricambiata dal conte Ruggero di Sambro, ma la differenza di classe impedisce ogni possibile lieto fine.
Come in ogni melodramma che si rispetti infatti Thea perde prima l’amato e poi la neonata prole, strappata dalle amorevoli cure materne per essere affidata alla zia contessa…in un susseguirsi di colpi di scena degni dei migliori feuilleton, l’istitutrice ritroverà la tenerezza e in cuor suo l’amore romantico (per Giorgio, il fratello minore dell’amato defunto) ma dovrà rinunciarvi poiché il destino incombe implacabile e prevarrà il sentimento dell’amore materno per la figlioletta Alma ritrovata, innamorata anch’essa di Giorgio, fino a giungere all’estremo sacrificio di sé.
Il film brilla per la gamma infinita di emozioni a cui Karenne riesce a dare vita: in una delle scene clou del film, il volto dell’attrice in primo piano si trasforma sotto i nostri occhi in una maschera tragica che riesce a cogliere ogni sfumatura del dramma in corso, ottenuta combinando la mimica di fronte, occhi e bocca per esprimere l’angoscia per l’ineluttabile destino.
Come evidenziato da Monica Dall’Asta, nei diva film esiste uno schema narrativo ricorrente, in cui risuona l’eco della femme fatale ottocentesca che “è fatale per se stessa prima che per gli uomini attratti dal suo fascino magnetico (…) con ostinata regolarità il copione si conclude con la morte della protagonista (…) la scena madre di ogni diva vera contempla il suicidio”.
Nonostante sia ancora imbrigliato nei cliché del melodramma ottocentesco il personaggio di Miss Dorothy-Thea rientra in quella schiera di soggetti anticonvenzionali a cui Diana Karenne sceglie di dare vita sullo schermo, rappresentando una nuova soggettività femminile che cerca di avviarsi verso l’indipendenza e la modernità.