Montaggio Bazin è un ossimoro e una provocazione. È anche il titolo – provvisorio, la versione definitiva si chiamerà Bazin Roman – del documentario che Marianne Dautrey ed Hervé Joubert-Laurencin dedicano con un amore e un’ammirazione sconfinata al fondatore dei “Cahiers du Cinéma”, padre spirituale dei Jeunes Turcs e, soprattutto, teorico di rara finezza e ineguagliata lucidità. Una figura quasi impensabile da trattare sul grande schermo: parlare di Bazin impone una tale consapevolezza di sé e del mezzo da impedire qualsiasi agiografia standard (la vita, la morte, le opere), e d’altronde la densità concettuale del suo pensiero rende vana qualsiasi forma di tassonomia semplificatoria, così come ogni tentativo di ritradurre i concetti in immagini (sia chiaro: fare teoria del cinema attraverso il cinema non è impossibile: al momento, però, chi scrive riesce a pensare solo a Ejzenštejn, Delluc e pochi altri).
Eppure questo documentario è un film permeato dallo spirito di Bazin, attraversato dal suo pensiero, profondamente in linea con il suo sguardo. Se per il teorico la natura del cinema risiedeva nel celebre “complesso della mummia”, Dautrey e Joubert-Laurencin vestono i duplici panni di imbalsamatori e archeologi: rimettono insieme taccuini, fotografie di sopralluoghi e note di regia di un film mai realizzato, un cortometraggio che Bazin progettava di dirigere sulle chiese della Saintonge.
Poi, però, non cedono alla tentazione classificatoria: questo prezioso lavoro di archivio – parliamo di documenti inediti, scoperti nel 2015 – non trova una sistematizzazione, e il documentario restituisce il materiale originale al flusso delle immagini – Bazin avrebbe detto: “all’ambiguità del reale” – consegnandoli allo spettatore in forma disordinata e aforismatica.
Naturalmente il documentario segue anche vie più piane e didattiche: mentre Bazin descrive, con la consueta acutezza, la fascinazione provata alla visione di Farrebique, ecco che compaiono le immagini del documentario di Georges Rouquier (di Farrebique Dautrey e Joubert-Laurencin non si limitano a prendere in prestito alcune sequenze, ma anche la struttura narrativa cadenzata dal ritmo delle quattro stagioni). O ancora: Bazin racconta che il cinema, in ultima analisi, non è diverso dalla pittura sacra medievale. Seguono affreschi e statuaria romanica. Ma nel complesso Montaggio Bazin non tradisce la sua natura ambigua e meditativa, e conserva il merito di aver riscoperto e immaginato un Bazin cineasta, di aver ipotizzato il suo primo film, di aver portato a termine un lavoro interrotto.