L’esercito israeliano decide di porre un territorio di addestramento militare a Masafer Yatta, una unione di villaggi in Cisgiordania. Una terra in cui i palestinesi vivono da secoli e in cui hanno stoicamente costruito le proprie vite e quelle dei loro figli. Israele decide di distruggere pollai, case, scuole e, al contempo, costruisce degli insediamenti di coloni. I palestinesi si vedono strappare via la terra su cui sono nati e cresciuti; ma, appunto, è la loro terra e non vogliono cederla, perché, come recita il titolo, per loro non ce n’è nessun’altra. Resistono quindi strenuamente anno dopo anno, settimana dopo settimana, ora dopo ora, centimetro dopo centimetro.

Le ruspe e i carrarmati israeliani ogni giorno distruggono qualcosa, i palestinesi oppongono la loro rabbia e i loro corpi, e intanto ricostruiscono. È una lotta disperata dove bisogna opporre le parole alla violenza contro chi non si fa nessuno scrupolo a distruggere tutto ciò che una famiglia possiede, a radere al suolo scuole e a gettare del cemento su un pozzo d’acqua. Da una parte c’è un’umanità che rivendica i propri diritti, dall’altra uno Stato senza pietà che vuole impossessarsi di una porzione di territorio.

Questi sono i presupposti di cronaca di ciò che è successo a Masafer Yatta, addirittura prima che iniziasse il conflitto vero e proprio tra Israele e Palestina, a dimostrazione di come quel conflitto non abbia avuto inizio nell’ottobre 2023, ma abbia radici lontanissime che sono proliferate silenziosamente nella quotidianità dei giorni, prima che la guerra arrivasse ai riflettori della stampa internazionale.

A documentare tutto questo è Basel, ragazzo nato e cresciuto a Masafer Yatta. Basel gira con la videocamera in mano e non ha nessuna paura di svelarsi ai soldati israeliani, subire le loro percosse e minacce, rischiare la vita pur di mostrare al mondo quello che succede al suo paese. Ad aiutarlo nel fare conoscere questa storia di violenza ed espropriazione è Yuval, giornalista israeliano.

Sì, israeliano. Yuval, infatti, è dalla parte di Masafer Yatta e di quegli oppressi che, senza motivo e senza alcuna parvenza di moralità, si vedono distruggere tutti i propri beni in nome di una realpolitik invisibile e imperturbabile, con una forza bruta e degli sguardi sogghignanti che hanno perduto ogni briciolo di umanità.

No Other Land nasce proprio dalla volontà di Basel e di Yuval di raccontare tutto questo. Inutile dire che si tratti di un lavoro necessario, che tutti dovrebbe vedere e su cui sarebbe doveroso riflettere. Si tratta proprio di uno di quei casi in cui un film si dimostra insostituibile per mostrare ciò che avviene nel punto geografico su cui si è concentrata l’attenzione della popolazione globale.

Tutti i giorni leggiamo di Israele e Palestina, vediamo frammenti di immagini e video, siamo inondati di fake news e ricostruzioni dettate da narrazioni geopolitiche che rispondono a determinati interessi, riflettiamo su editoriali che ci dicono quale parte prendere, ma raramente abbiamo un documento, come questo documentario, che si concede un’ora e mezza per mostrare e dare spazio ai fatti, alla loro urticante nudità.

In questo caso, noi spettatori abbiamo la fortuna di vedere un girato che offre un varco sul conflitto israelo-palestinese senza che sia macchiato da punti di vista faziosi, riletture fantasiose o linee editoriali manipolatorie. Certo, il punto di vista di Basel e Yuval è dichiaratamente filopalestinese, ma a parlare sono le immagini, il rumore delle ruspe al lavoro e le urla e gli sguardi sofferenti ma resilienti di coloro che abitano a Masafer Yatta.

Questa non è stata chiaramente una recensione canonica e non poteva esserlo. A volerla rendere in parte tale, si può dire che il film è essenzialmente amatoriale, mosso dalla necessità di raccontare dei fatti che gli autori vogliono che il mondo conosca. Nonostante ciò, a livello di montaggio e di raccordi narrativi, No Other Land offre delle soluzioni tutt’altro che sprovvedute o banali.

L’alternanza di sequenze frenetiche e altre riflessive, lo spazio dato all’ampiezza dei paesaggi polverosi della Cisgiordania ma anche ai volti dei testimoni, e in genere l’attenzione a certi dettagli e ad alcuni dialoghi rivelatori iscrivono il documentario, certamente non avendolo meditato in anticipo, a una tradizione militante e civile, che fa capo a Joris Ivens, dove chi tiene la camera in mano mette a repentaglio la propria vita.

Non vogliamo sfociare nella retorica e chiudere con chissà quale frase a effetto che possa muovere l’emotività del lettore. Semplicemente chiudiamo dicendo che No Other Land è un film da vedere per capire una situazione di cui troppo spesso si parla a vanvera sapendo troppo poco, per conoscere meglio il mondo in cui viviamo, per diventare un po’ più umani.