La sala cinematografica è oggi un luogo che va preservato dall’estinzione, ultimo baluardo del rito laico (ma per alcuni più sacro di quello religioso) dell'andare al cinema. Svuotata dal pubblico “generalista”, è diventata in molti casi terra di conquista dei cinefili intransigenti; un tempio, dove vieni subito guardato con biasimo anche solo se scarti una caramella o scambi una parola con il vicino: peccati gravi da scontare in ginocchio sui ceci, come vorrebbe il Guidobaldo Maria Riccardelli di fantozziana memoria.
Ma c'era un tempo, neanche tanto lontano, in cui il cinema rivendicava ancora la sua natura popolare, il suo essere luogo di svago e di aggregazione. Tempi in cui si entrava a film cominciato vedendo l'inizio allo spettacolo successivo, dove durante la proiezione si mangiava e si beveva (a Roma il menù prevedeva “arancio, birra, coca, bruscolini, Caffé Borghetti”), si dormiva, si fumava. E non solo questo.
Sarà il buio, sarà l’intima prossimità dei sedili, saranno i lunghi baci appassionati sullo schermo, ma a lungo i cinema sono stati teatro di incontri, più o meno clandestini: dalle ultime file appannaggio degli innamorati in libera uscita alle sale scelte come luoghi d’elezione dalla comunità gay. Nuovo Olimpo, l’ultimo film di Ferzan Özpetek, è anche un omaggio a queste zone franche, dove liberamente trovarsi, e liberamente amarsi, al riparo dagli occhi indiscreti di una società non proprio benevola e comprensiva. E dove, magari, vedere anche un bel film.
È in una sala così, il Nuovo Olimpo del titolo, che avviene l'incontro decisivo tra i due protagonisti: Enea è un aspirante regista che lavora da volontario sui set in attesa della grande occasione, Pietro uno studente di medicina di passaggio a Roma per accompagnare la madre in ospedale. Il loro potrebbe essere un rapporto fugace, uno di quelli da consumare nei bagni tra un tempo e l’altro di Nella città l’inferno di Castellani o Mamma Roma di Pasolini. E invece diventa il grande amore a prima vista, l’attrazione assoluta e cieca che ti occupa ogni pensiero, che ti fa dimenticare tutto e tutti. Sembra l’’inizio di una grande storia d’amore, ma il destino ha deciso diversamente.
Da questo momento il film diviene un melodramma sull’amore trovato e perduto in un attimo. Non una storia di rimpianti, su quello che avrebbe potuto essere e non è stato, quanto un elogio dell’amore come sentimento impossibile da dimenticare, brace che una volta accesa sopravvive, forse per sempre, sotto la cenere.
Dopo alcune opere meno convincenti, Özpetek recupera qui una più sincera spinta autobiografica (sempre presente nel suo cinema ma mai così palesemente denunciata, con tanto di cartello “ispirato a una storia vera”). Ha dalla sua due protagonisti (il taciturno Pietro di Andrea Di Luigi e soprattutto il vitale Enea di Damiano Gavino) bravi e intensi, un bel gruppo di comprimari e il personaggio della cassiera Titti, una dea dell’amore con le sembianze di Mina e la verve partenopea di una meravigliosa Luisa Ranieri.
Si avverte nella prima parte del film la forza e il coraggio di voler raccontare la passione anche nella sua componete più fisica e vitale, rivendicando l’emozione e la spensieratezza di quegli approcci al buio illuminati solo dalla luce del proiettore, senza paura di affrontare le scene di sesso e il nudo frontale (non così sdoganato, soprattutto quello maschile, vedi alla voce Chiamami col tuo nome, e relativa polemica tra lo sceneggiatore James Ivory e il regista Guadagnino).
Peccato che nella seconda parte, quella in cui Enea e Pietro si camminano accanto per tutta la vita senza mai più incontrarsi, Özpetek si faccia prendere la mano dal melodramma di stampo almodovariano, che non manca nella sua versione ozpetekiana di linee narrative interrotte, di improbabili coincidenze, di imbarazzanti invecchiamenti prostetici, di dialoghi incerti. A riscattarlo arriva un finale giusto e non consolatorio, conclusione malinconica di una parabola sull’amore passato ma infinito, chiuso nella teca di vetro del ricordo indelebile: l’amore perfetto, quello che non si rovina con il tempo, che resta per sempre giovane, bello, forte e vigoroso come a vent’anni.
Certo, fa male pensare che un film che si chiama come un cinema, e che intorno a un cinema costruisce il momento cruciale che mette in moto l'intera vicenda, non si vedrà mai in sala, ma direttamente e solo su Netflix. Sembra essere l’approdo finale del destino del Nuovo Olimpo: sala d’essai a fine anni Settanta, cinema porno a fine Ottanta, definitivamente chiuso negli anni Duemila.
Da lì in poi i film si vedranno in piattaforma, scelti da una fornita library e comodamente seduti sul divano; allo stesso modo, Enea e Pietro si conosceranno su qualche app di incontri, selezionandosi da un opportuno catalogo, si incontreranno a casa di uno dei due e si ‘ghosteranno’ senza troppi rimpianti subito dopo. Tutto asettico e digitale, senza un briciolo di adrenalina, di incertezza, di passione. Peccato.