A oltre quarant’anni da American gigolò, Richard Gere torna a lavorare con Paul Schrader in Oh, Canada – I tradimenti nei panni di un tormentato documentarista in fin di vita, Leonard Fife. Pur piagato dalla malattia, concede ad alcuni suoi ex allievi la sua ultima intervista in cui intende redimersi dalle bugie che hanno caratterizzato la sua vita e la sua carriera.
Invitata speciale a questa diffamazione autoinflitta è la sua ultima moglie, a cui questa confessione è dedicata, e che nondimeno continua a sostenere che il marito stia mescolando realtà e fantasia in un delirio indotto dai farmaci. Oh, Canada è un flusso di coscienza semilucido e dispersivo, in cui i piani temporali si sovreppongono e si confondono al ritmo delle parole e dei pensieri sconnessi del suo protagonista.
Schrader decide quindi di mettere in scena la vita di Leonard Fife ponendo lo spettatore nella sua stessa condizione, ma può un malato terminale avanti con gli anni e stordito dai farmaci raccontare di sé stesso? Sì, male. Anzitutto manca a Oh, Canada un solido centro di gravità: per quanto Fife si dipinga come un pavido, debole egoista che non ha mai meritato la nomea assegnatagli, non arriva mai a dipingere una persona poco più che sgradevole.
Non mancano certo esempi nella recente filmografia di Schrader protagonisti con un vissuto ben più pesante, e fa storcere il naso immaginare che qualcuno possa rimanere sconvolto da blande rivelazioni risalenti a cinquant’anni prima. Ancora più grave è che non si rimane catturati neppure per un secondo dalla vicenda, intanto perché non è dato sapere se quanto viene raccontato corrisponda al vero, e poi perché i passaggi da un soggetto ad un altro sono così frequenti e improvvisi che non si ha il tempo di interessarsi a una situazione che la scena vira verso tutt’altro.
Strutturalmente il film è quasi identico a Mishima – una vita in quattro capitoli, ma mentre quest’ultimo traeva spessore e significato dal ricorso a multipli piani e stili di racconto, Oh, Canada ne risulta azzoppato, artificioso e illeggibile. Più che l’ingiustificatamente ingombrante protagonista, è interessante il personaggio della moglie, affranta dallo spettacolo pietoso che Fife dà di sé.
Funziona anche il tema del ricordo, per quanto ottenebrato, come palliativo alla sofferenza della malattia, ma questi piccoli pregi non salvano Oh, Canada dall’essere tra i più confusionari e dimenticabili film di Schrader.