La voce fuoricampo a cui è affidato il prologo di Paura dell’alba è quella di Germano Pacelli, il partigiano Staffa scomparso nel 2024, pochi mesi dopo la registrazione di questa sua testimonianza. Con poche, precise e misurate parole Staffa racconta la sua esperienza nella lotta di Resistenza, la durezza di quei giorni e il fuoco che lo animava. Un ardore fatto di speranza in un futuro diverso e migliore - un paradiso ideale quanto utopico - ma alimentato anche dall’odio per gli invasori e i nemici, perché “con la guerra si diventa bestie”.
Il regista Enrico Masi decide di dedicare il suo mediometraggio Paura dell’alba proprio a uno degli episodi più controversi della storia della Resistenza, quello dell’eccidio di Montemolino di Palagano. Nel giugno del 1944 quindici poliziotti disertarono dalla Questura di Modena per unirsi ai partigiani che avevano fondato la Repubblica di Montefiorino.
Quando i miliziani fascisti raggiunsero la zona di Montemolino, nonostante avessero una lettera del Comitato di Liberazione Nazionale modenese con la quale veniva garantita la loro volontà di unirsi ai partigiani, caddero nelle mani di una formazione guidata dal comandante Nello Pini, che decise di fucilarli ritenendoli spie. I quindici poliziotti vennero uccisi, insieme alla staffetta partigiana che li accompagnava. Nello Pini fu poi condannato dallo stesso Cln e fucilato a sua volta.
La narrazione che Masi fa di questa storia, scritta a quattro mani con Pier Giorgio Ardeni, è suddivisa in due parti. Prima vediamo un racconto per immagini, dominato dalla natura dell'Appennino emiliano, unica vera scenografia del film. Il rumore del vento, delle foglie, degli uccelli prende il posto delle parole e lascia fluire nella loro durezza e verità i fatti storici.
L’ultimo anelito di una partigiana ferita a morte si perde fra i fiori e i fili d’erba, là dove giacciono altri suoi compagni. La fucilazione dei quindici miliziani viene ripresa da lontano: vediamo un sentiero fra le colline, i corpi che cadono uno a uno ma non udiamo nemmeno gli spari. Un urlo quasi disumano rompe il silenzio e introduce la sentenza di condanna di Pini e dei suoi compagni. “La nostra lotta - sussurra poco dopo un partigiano all’orecchio di Pini che sta per essere fucilato - deve essere un fulgido esempio di giustizia e di rispetto della volontà del popolo”.
Nella seconda parte la parola riprende gli spazi che prima erano stati ceduti alle immagini: gli stessi attori leggono testi che raccontano la Resistenza e in particolare la nascita della Repubblica di Montefiorino fino alla Liberazione, mentre sullo schermo scorrono foto storiche, la cui forza evocativa è sottolineata dalle musiche di Sara Ardizzoni e dalla partecipazione della cantante Letizia Fuochi.
“La mia volontà - ha dichiarato il regista Enrico Masi - è quella di iniziare, con Paura dell’alba, un racconto diffuso sulla lotta di Liberazione, che si estenderà oltre i confini italiani, attraversando la Spagna, i Balcani e il Sud della Francia, ma a partire dalle storie che mi hanno accompagnato fin da piccolo”. Il mediometraggio, girato in pellicola 35 e 16 mm, restituisce infatti sia la dimensione intima, dolorosa e totalizzante dei giovani catapultati nella guerra - negli occhi e nei volti dei quali convivono speranza, paura, orrore, ricerca di giustizia ma anche sete di vendetta - sia quella storica, ricostruita attraverso fonti scritte e immagini documentali.
Quando alla fine il film ricorda che la notte è sempre scura prima dell'alba, il pensiero va alla democrazia nella quale oggi fortunatamente viviamo, nata anche dal buio e dalla paura di quelle notti.