Winston Churcill diceva: "siamo certi che gli americani facciano sempre la cosa giusta, dopo aver provato tutte le altre". E chissà cosa avrebbe pensato il pragmatico statista inglese su The Age of Consequences, il classico documentario che anche il meno strutturato degli spettatori ne suggerirebbe la visione un po’ a tutti, anche – perché no – all’attuale presidente americano, non proprio sensibilissimo alla questione.
Incentrato sui legami tra i cambiamenti climatici e la sicurezza nazionale, il film si inserisce a metà tra due filoni cari alla recente produzione documentaristica americana: quello ambientalista, che dall’ormai classico Una scomoda verità al contiguo Before the Flood cerca di unire la didattica, la passione civile, l’urgenza, l’etica; e quello politico, più eterogeneo (Citizenfour, Zero Days, 13th) ma con cui condivide il coinvolgimento di testimoni eccellenti, la critica a certi settori del sistema, la proposta di un percorso alternativo. In realtà, come ci fa ben capire il film, è ormai impossibile scindere il discorso ambientale da quello politico: tema di fondo, infatti, è il costo della negligenza di una politica miope e di una società che si ostina a confondere lo stile di vita con la vita stessa.
Ciò che più convince del doc di Jared P. Scott è la concretezza delle argomentazioni. Riesce quando parla di un altrove, dominato dalla guerra, attraverso una narrazione per molti inedita, veicolata da militari che hanno maturato una certa coscienza critica sullo sfruttamento dei territori invasi e sull’impatto del problema sulle vite delle popolazioni. E riesce quando guarda in casa propria, non solo rievocando la tragedia di Katrina a New Orleans e i disastri provocati dall’uragano Sandy a New York ma anche raccontando, mediante alcuni immagini davvero efficaci (le ville circondante da territori desertificati), quanto la catastrofe etica sia già incipiente rispetto al pericolo del collasso ambientale.
Colti in spazi ora algidi, che trasmettono l’inevitabile distacco del potere, ora segnati da grigi elementi di archeologia industriale, gli illustri intervistati fanno emergere un quadro chiarissimo della situazione, portando alla luce il fondamentale lavoro del Cna Military Advisor Board, un comitato di ex militari incaricato dall’amministrazione Bush (ebbene sì) di gettare le basi normative sui temi inerenti la sicurezza interna. Nel frattempo, s’impone angoscioso il senso di una guerra permanente, fondata su contrapposizioni insanabili, in cui un problema come la siccità (quindi l’alimentazione) genera una catena di conseguenze, dall’immigrazione al conflitto fino alla rivoluzione, difficilmente affrontabili se non in sbrigativi termini bellici. Nonostante la citazione d’apertura ("bisogna contemplare spiacevoli rischi solo per poterli evitare"), la polemica di fondo, sostiene l’ex collaboratrice del Segretario alla Difesa, è che "l’America deve capire che non tutto si risolve con l’esercito". Avvincente, coinvolgente, ricco di informazioni e con una piccola, necessaria speranza finale.