Alle notti di Dostoevskij Bresson sottrae il bianco – Parigi al posto di San Pietroburgo e della neve livornese di Visconti – e aggiunge il sogno. Anzi i sogni di Jacques, giovane pittore alla deriva senza nessuno con cui parlare, senza direzione alcuna: nella prima inquadratura fa l’autostop e non sa per dove. Finisce a rotolare in un prato di campagna, lasciando sull’erba l’impronta del suo corpo. È la prima delle tante tracce impercettibili del suo passaggio, segni di una durata esistenziale che solo i piani di Bresson, lunghi sempre qualche secondo in più di quanto si crederebbe, riescono a testimoniare.

Come accade quando le mani di Jacques aprono e chiudono una porta o spostano oggetti dentro il suo appartamento. Gesti semplici e mai identici che nel corso del film si inanellano in momenti dal significato sfuggente pur nella loro chiarezza, compreso l’incontro con alcuni piccioni in un parco. Jacques ne incide su un registratore portatile il tubare, sovrascrivendo la sua stessa voce. Ma ogni volta che ascolta il suo nastro (perché sembra che ne abbia uno soltanto) la registrazione non restituisce che l’esperienza di un’impossibilità, quella di rivivere di persona uno qualunque di quei momenti unici, di conservare quelle tracce. Per questa unicità, ancor più per il rischio di perderla, Bresson inventa un film trasognato e di sensualità ovattata, affacciato sulla propria malinconia.

Durante la prima notte Jacques impedisce a Marthe di buttarsi nella Senna dal Pont Neuf, e le dà appuntamento nello stesso punto per le notti seguenti. Nel corso della seconda i due si raccontano le proprie storie: la solitudine e l’alienazione di lui, interrotte dalle fantasie sulle donne che incontra o segue per strada; l’angoscia di lei, che aspetta da un anno il ritorno del ragazzo di cui è innamorata, lo stesso cui la madre aveva affittato una stanza a casa loro. Innamoratosi a sua volta di lei, la terza notte Jacques promette a Marthe di far avere all’altro una lettera tramite amici in comune.

La quarta notte, convinti che l’amante non arriverà, Jacques e Marthe progettano di restare insieme, fino a che il desiderio profondo di uno dei due non si avvera, vanificando quello dell’altro. Se, come si intuisce, nell’impianto narrativo Quattro notti di un sognatore resta alquanto fedele al racconto di Dostoevskij, l’atmosfera è invece un distillato di rarefazione bressoniana: intorno a pochi elementi ricorrenti e quasi astratti (il ponte, il fiume, il bateau mouche, le insegne luminose) la flânerie sentimentale di Jacques e Marthe tarda a diventare reale, mentre gli intermezzi dei giovani che suonano sui marciapiedi o sull’imbarcazione funzionano come veri e propri entr’acte che dilatano ulteriormente l’attesa, stemperando in una penombra onirica i volti sul punto di sfiorarsi.

Fino alla separazione ultima la stessa Martha, che di notte appare e scompare avvolta in un lungo mantello scuro come le donne di Breton in Nadja o nell’Amour fou, sembra appartenere a uno dei sogni di Jacques. Sono le sequenze nella luce tenue della casa – ovvero i ricordi della convivenza con l’elusiva madre e l’altro uomo – ad assicurarle una densità reale. Su tutte le due scene erotiche, bellissime, che trasmettono la consistenza vellutata della sua pelle nuda.

Prima attraverso lo sguardo depositato nello specchio, poi al contatto col corpo del ragazzo. Secondo una costante del cinema di Bresson, per cui si può nutrire speranza di salvare ciò che è stato visto, sentito, fatto per una prima e unica volta. A modo suo, confessando a Marthe di aver immaginato un motivo musicale ascoltato da lui soltanto una volta per tutte, anche Jacques vorrebbe custodire per sé qualcosa di irripetibile. Ma Jacques vuole ciò che sogna e sogna ciò che vuole, non riuscendo ad abbandonarsi definitivamente alla deriva delle sue fantasie né ad appartenere al mondo della veglia cui Marthe si convince per un attimo di poterlo ricondurre. Non ha l’innocenza di Mouchette e Balthazar e nemmeno la disperazione dei protagonisti de Il diavolo probabilmente o L’Argent.

Al confronto con questi e altri titoli Quattro notti di un sognatore mostra magari imperfezioni e insicurezze, soprattutto nelle scelte dialogiche, eppure contiene alcune tra le immagini più intense dell’intera filmografia di Bresson. Oltre ai commoventi profili dei ragazzi che fissano semplicemente l’acqua e al passaggio fantasmatico del battello sotto gli archi del ponte, ripenso a uno degli ultimi momenti della quarta notte: lo sguardo perso in alto di Jacques, verso la luna, contraddetto da quello scavato di Marthe, in macchina, diretto all’altro uomo – due idee d’amore inconciliabili e altrettanto necessarie che Bresson mantiene in un’unica inquadratura.

Unica, non perché sola ma perché irripetibile.