Nella scena iniziale di Ready Player One il protagonista esce dal proprio container al quinto piano della baraccopoli in cui vive assieme alla zia. Mentre scende e passa di fronte agli altri "appartamenti", lo spettatore ha la possibilità di spiare la vita di quei cittadini distopici. Persone evidentemente alienate e sole, che alla sana socialità preferiscono un televisore e tonnellate di film.
Nella scena conclusiva di Ready Player One, il lieto fine viene sancito dalla decisione di chiudere tutte le sale cinematografiche il martedì e il giovedì, per far sì che quelle persone alienate viste in precedenza possano finalmente tornare alla realtà, recuperare una parvenza di umanità, godersi quei rapporti umani compromessi dalla solitaria visione filmica.
Sarebbe bello sapere cosa ne pensano i cinefili di questa visione oscura che investe la loro più grande passione. Sarebbe bello, anche se a essere onesti le due scene appena descritte non vanno esattamente così: in quella iniziale tutti i cittadini sono immersi nei loro visori di realtà virtuale; in quella finale è il mondo di gioco a venir chiuso il martedì e il giovedì. Tuttavia, a pensarci bene, le due scene reggerebbero anche sostituendo i videogiochi con i film o, perché no, con i libri. In quel caso, probabilmente, cinefili e lettori storcerebbero il naso, noterebbero una stonatura rispetto all'aura tipicamente positiva che circonda cinema e letteratura. Se si tratta di videogiochi, invece, l'alienazione si dà per scontata. E invece no: i nerd dovrebbero ribellarsi allo stereotipo!
La prima e l'ultima scena di Ready Player One non fanno altro che confermare ciò che l'opinione pubblica è solita credere. Lo spettatore esce dalla sala con la rinnovata e rassicurante consapevolezza che la realtà è sempre meglio della virtualità – ma c'è davvero bisogno di questa costante opposizione? – e che i videogiocatori rimangono un po' sfigati, magari buffi e testardi, ma pur sempre disadattati. A tal proposito, vorrei raccontare una storia vera, accaduta durante l'aperitivo retrogaming organizzato presso la Biblioteca Renzo Renzi dopo una delle proiezioni del film. "Guarda che poi diventi come loro", ha detto una mamma alla propria figlia, indicando un gruppo di nerd seduti a fondo sala. La colpa della bambina? Aver provato la realtà virtuale e aver espresso il desiderio di acquistare una console.
Ready Player One è un film divertente, su questo non ci piove, ma sotto la superficie densa di citazioni – per l'elenco completo potete andare qui – nasconde un messaggio un po' troppo buonista e conservatore. Curiosamente, durante tutta la parte centrale, il film sembra sostenere che il virtuale può essere canale di solidi e sinceri rapporti umani, non meno del reale. Poi però, per la logica del cerchiobottismo, Spielberg accontenta nel finale anche il suo pubblico generalista. È infatti bene rilevare che la chiusura parziale del mondo virtuale di Oasis viene proposta solo nel film, non nel libro di Cline.
La miccia della rivoluzione nerd si annida tuttavia dove meno te lo aspetti, e più precisamente all'interno della sequenza in cui Spielberg trascina i personaggi del videogioco sul sacro set di Shining, ricostruito in computer grafica. La celebre opera di Kubrick viene non solo destrutturata, ma anche letteralmente invasa dai videogiochi e dal linguaggio videoludico. L'inizio della rivoluzione.