Ospitiamo gli articoli dei giovani critici di Parole e voci dal festival, che analizzano il cinema del passato dal proprio punto di vista
Le chagrin e le remors sono i protagonisti indiscussi del film di Yves Allégret, Une si jolie petite plage, conosciuto infatti con il nome italiano La via del rimorso. È di rimorso infatti, e di dolore (chagrin) che si parla in questo lungometraggio in bianco e nero del 1949, uscito in Francia soprattutto per interrompere il cosiddetto cinema di papà, già ampiamente criticato all’epoca, che sarà totalmente abbandonato con la successiva nascita della Nouvelle Vague. Non più film commerciali e volti al pubblico consenso ma lungometraggi difficili e controversi, differenti da regista a regista.
Une si jolie petite plage è un preludio di questa nuova forma cinematografica, e porta ancora con se il dolore e i devastanti effetti della guerra, ancora troppo vicina per provare a dimenticarne i mali. Si tratta di un noir sotto vari punti di vista: oltre ad essere un film di genere è soprattutto un dramma psicologico, accentuato da un’atmosfera cupa e estremamente dark anche nel senso letterale del termine: la fotografia infatti si focalizza maggiormente sul nero che sul bianco, evidenzia quindi le zone d’ombra e le tetre sfumature nero grigiastre che, insieme alla pioggia, sono una certezza nel film.
La storia è una climax di drammaticità e tristezza: all’inizio, i personaggi non si presentano a noi spettatori, lasciandoci liberi di immaginare la loro vita e il loro passato. Queste persone, apparentemente sconosciute, sembrano essersi riunite per caso in una fredda e buia locanda di un paesino a nord della Francia, dove regna la pioggia. Pur essendo a ridosso sul mare, infatti, questo paesino e questa locanda nulla presentano di quella tipica allegria che solitamente caratterizza i luoghi di villeggiatura, ma affondano invece in un fiume incessante di maltempo e desolazione, influenzato forse dalla stessa depressione dei personaggi. Il protagonista, il giovane Pierre, è il depresso per antonomasia, parla a malapena, sta chiuso nella sua camera o si avventura nel paesino per lunghe camminate solitarie. La cameriera Marthe, sfruttata dalla locandiera, una vecchia donna avara , è l’unica ad entrare minimamente in confidenza con Pierre, che sembra avere uno scheletro nell’armadio difficile da dimenticare. Il protagonista mostra interesse soltanto per un povero ragazzo orfano al servizio della locanda, che tutti i giorni deve, fra le tante altre mansioni, portare l’ acqua per i clienti. Altri ospiti sono un curioso parigino – come Pierre- anche lui silenzioso e solitario e un vecchio paralitico che sembra nutrire una certa antipatia verso il protagonista, inesprimibile però a parole a causa della sua infermità.
Man mano che la pellicola avanza cresce l’urgenza di sapere cosa è successo a queste persone e con essa aumenta anche l’angoscia, favorita da un fatto che sembra essere avulso dalla realtà della locanda ma con cui in realtà ha strette connessioni: una donna, una famosa cantante, di cui si ascoltano sempre le canzoni, è stata uccisa dal fidanzato, ricercato in tutto il paese. Come potranno tutti questi elementi combaciare? Allégret alla fine ci offre un plausibile quadro della vicenda drammatica che è da un po’ ormai che stiamo guardando, unendo i vari dettagli con rara maestria.
Laura Cacciamani