Per un filmmaker senza cittadinanza italiana trovare i fondi per finanziare le proprie opere è un’impresa impossibile: mancano politiche culturali capaci di incoraggiare queste produzioni come l’Arts Council in Inghilterra o gli investimenti diretti dai parti dei canali televisivi. Non possono accedere ai fondi statali del loro paese d’origine, perché non più residenti e allo stesso tempo si vedono negati anche quelli stabiliti dal Ministero dei Beni Culturali, perché non di nazionalità italiana. Il Premio Mutti, creato nel 2008 da Officina Cinema Sud-Est in collaborazione con la Cineteca di Bologna e che vede oggi anche il prezioso sostegno dell’Associazione Amici di Giana e dell’Archivio delle memorie migranti, crede in queste voci e alla loro bisogno di esprimersi. Proprio per questo sono dieci anni che sostiene l’attività dei registi stranieri provenienti da Asia, Africa, Est Europa, Balcani, America Latina e Medio Oriente dando un contributo in denaro pari a 18.000 euro al progetto cinematografico vincitore.
“Crediamo tanto in queste storie perché sono vere e soprattutto necessarie, ma anche perché sono molto più vicine alla nostra realtà quotidiana rispetto a quelle che racconta il resto del cinema italiano. Puntiamo soprattutto di creare una rete di interlocutori che possa aiutare questi autori nella loro carriera”, ci spiega Enrica Serrani, responsabile sviluppo progetti territoriali ed europei della Cineteca di Bologna, “Siamo felici che questo premio abbia uno spazio all’interno di Visioni Italiane perché ci permette di sottolineare che questi registi non sono estranei all’Italia, anzi vi sono molto più legati di quanto si possa pensare.”
Nel pomeriggio di sabato 3 marzo, prima della proiezione di due progetti curati da Suranga D. Katugampala, si è svolto un breve incontro con i vincitori delle edizioni passate per celebrare il decennale dell’iniziativa e per riflettere sulla sua importanza nell’Italia di oggi. “Dalla sua istituzione, il premio Mutti ha permesso la realizzazione di undici film e altri due – i progetti delle edizioni 2016 e 2017 – sono ancora in lavorazione”, racconta Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna in apertura, “La nostra Italia è molto cambiata in questi dieci anni, prima si ignorava il tema dei migranti. Proprio per questo abbiamo deciso di guardare fuori dai confini nazionali e ispirarci a quei premi che nel resto d’Europa già esistevano per poter aiutare questi registi a realizzare i loro progetti. Noi abbiamo bisogno di conoscere gli altri e soprattutto di vedere il modo in cui gli altri ci vedono.”
Tra gli altri moderatori dell’incontro vi è anche Alessandro Triulzi – insegnante di Storia dell’Africa presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” – secondo il quale “è importante lavorare su questa molteplicità di punti di vista data da queste presenze migranti”. “Queste opere che vengono realizzate sono degli interessantissimi punti di vista necessari anche per interpretare questo mondo così tumultuosamente impegnato a rincorrere sé stesso. Penso che questa multiculturalità sia una delle risorse più importanti per l’Italia e mi auguro che continui a restare aperta e porosa come è oggi. Promuovere e diffondere queste voci che vengono dall’estero è essenziale per il bene del nostro paese”, conclude lo storico.
All’incontro è presente anche Giampiero Judica dell’Associazione Amici di Giana, nata per ricordare il bolognese Gianandrea Mutti e la sua passione totalizzante per il cinema, che ci tiene a sottolineare l’enorme quantità di storie ricevute nel corso di questi dieci anni, tutte riguardanti temi diversi, ma accomunate da questa urgenza: “Per noi che siamo i responsabili la cosa più importante è far sapere che questo premio esiste con lo scopo di sostenere questi progetti”
Tra i vincitori degli anni passati vediamo intervenire Dagmawi Yimer (edizione 2011-2012 con Va’ pensiero), Mohamed Zineddaine (edizione 2008 con Ti ricordi di Adil?), Soheila Javaheri (edizione 2016 con Una casa sulle nuvole), Morteza Khaleghi (edizione 2016, menzione speciale), Fred Kudjo Kuwornu (edizione 2009 con 18 jus solis), Alfie Nze (edizione 2013 con Devil Comes to Koko), Razi Mohebi (edizione 2014 con Cittadini del nulla) e Hleb Papou (edizione 2017 con L’interprete).
Dagmawi Yimer spiega quanto un premio o quanto meno una competizione possa essere utile anche per rendersi conto del proprio livello: “Queste finestre ci permettono di aprirci verso chi capisce l’importanza dei racconti di chi alle sue spalle ha una storia di immigrazione”. Il documentarista etiope approfitta dell’occasione per proporre agli altri registi un progetto collettivo: “Sarebbe interessante riuscire a produrre qualcosa tutti insieme per raccontare tante piccolo microstorie riguardanti le nostre esperienze”.
Mohamed Zineddaine si dichiara soddisfatto di quanto ha ottenuto nei dieci anni trascorsi dalla sua vittoria, riuscendo a produrre quattro lungometraggi, di cui l’ultimo è una co-produzione con il Qatar. “Secondo me il cinema è una moschea culturale, un luogo dove siamo tutti soli insieme”, spiega il regista marocchino, “Come nella sala si vede la massa, il lavoro dell’equipe è di massima importanza anche nella realizzazione di un lavoro. Se in un film manca il ragazzo che porta i caffè, si nota la sua assenza: tutti sono importanti allo stesso modo”. Per quanto riguarda l’importanza di queste voci migranti ci tiene a sottolineare che è solo grazie alla cultura che si può creare una vera convivenza al di là della politica e dell’economica.
Per Soheila Javaheri l’aspetto più importante del premio Mutti è che risulta essere sconnesso dalla dimensione più strettamente legata al fatturato: “Il cinema serve a realizzare idee, soprattutto in un contesto sociale come questo. Per noi il cinema è un modo per esprimerci e per far viaggiare più velocemente le nostre storie. Fare film è uno stile di vita”. Dalla regista afghana arriva un’altra proposta per il futuro: “Sarebbe interessante realizzare una rassegna che raccolga questi lavori per riuscire finalmente a farli girare per tutta Italia”
Morteza Khaleghi spiega invece perché dopo la menzione ricevuta nel 2016, abbia deciso di non partecipare più al premio: “Sono ormai sei anni che vivo a Roma e sono diventato parte integrante di un sistema. Ora non riesco più a raccontarlo da fuori come avevo fatto al tempo”. Per lui la cosa che accomuna tutti questi registi è il fatto che “guardano la realtà con un occhio puro, anziché manipolarla per imporre un punto di vista”.
Fred Kudjo Kuwornu, vincitore del premio nel 2009 con 18 jus solis che tratta l’importante tema della cittadinanza, ha avuto l’opportunità di trasferirsi in America e di poter portare avanti i temi a lui tanto cari con oltre duemila proiezioni del suo documentario in tutto il mondo. “Il Premio Mutti è stato indubbiamente un trampolino di lancio per la carriera”, spiega nel videomessaggio, in cui si scusa anche di non essere presente fisicamente perché impegnato a San Francisco nella realizzazione del suo prossimo progetto.
Alfie Nze specifica che uno degli aspetti più stimolanti di questo bando è proprio il non aver limitazioni circa le tematiche trattate. Per il regista nigeriano la società italiana dovrebbe incoraggiare questa pluralità di voci perché così facendo si cresce tutti insieme. Inoltre, ci tiene a evidenziare che c’è bisogno di quelle storie che spesso non vengono raccontate e solo così anche quelle persone, che per la prima volta si vedono rappresentate, potranno sentirsi anche loro protagoniste.
Razi Mohebi si dichiara contento e preoccupato al tempo stesso: “Sono felice che una realtà come il premio Mutti esista ma al tempo stesso sono dispiaciuto che sia l’unica opportunità per registi come noi. Io vorrei realizzare i film che ho in mente, ma per lo stato italiano sono come un bambino in culla. Ci dovrebbe essere una legge organica, purtroppo in questi casi non ci sono delle soluzioni fai-da-te. Spero solo che nei prossimi anni possano nascere altre possibilità come questa e che possano aiutare a cambiare le cose”.
Hiel Papou, regista di origine bielorussa, vincitore del premio Mutti del 2017, spiega che la cittadinanza italiana è per lui solo un motivo in più per restare in questo paese e costruirci la sua vita e carriera. Si collega alle parole di Razi Mohebi per ricordare che le opportunità come queste scarseggiano, ma lui vuole sfruttarle per entrare nell’industria, senza cadere nel buonismo o nella furbizia.
Il Premio Mutti è un’opportunità più unica che rara, è un’iniziativa necessaria per permettere a queste voci di esprimersi e di raccontare queste storie urgenti che sanno filtrare la realtà in un modo del tutto nuovo, ma che soprattutto potrebbero risultare essere una grande risorsa per il cinema italiano di oggi.