Centinaia e centinaia di titoli e rarità compongono la collezione di Tomijiro Komiya (1897-1975). Cinefilo incallito, Komiya inizia a raccogliere e catalogare frammenti di film poco più che adolescente. Lo agevola la condizione ambientale in cui nasce e cresce: figlio di un ristoratore nel vivace distretto di Asakusa, Tokyo, Komiya viene fin da subito iniziato al cinema come avido spettatore. Alla fine di ogni proiezione, Komiya fa delle bizzarre richieste ai proiezionisti di sala: egli chiede a ciascuno un pezzetto del film appena visto, o addirittura la concessione di interi titoli, portandosi a casa dei preziosissimi positivi di pellicole.
Già da bambino, non si fa scappare nessuna occasione per guardare film europei al cinema, all’epoca i più distribuiti in Giappone. Ha all’incirca dieci anni quando vede il primo film nel cinema di Asakusa: “Come spettatori, eravamo totalmente assorbiti da queste fiabe avventurose e da certe commediole assurde. La sinossi del dramma era davvero molto semplice, l’ambientazione era scarna e l’accompagnamento musicale era grezzo, grossolano. La vicenda era più o meno questa: un vecchio astronomo, scopre una bellissima dea appollaiata su una stella e ordina al suo assistente di creare una gigantesca bolla di sapone. Entrandovi, sale in cielo ad esplorare il mondo delle stelle. Di ritorno a casa, precipita utilizzando un ombrello e, infine, atterra su una banderuola col simbolo della Pathé Frères. Al giorno d’oggi troveremmo tutto ciò al limite del patetico. Tuttavia, amo questo caro vecchio film”. Quel film è conosciuto oggi come Viaggio in una stella (1906) di Gaston Velle.
Ventenne, nel 1917, ha già raccolto e conservato centinaia di film degli anni Dieci provenienti dal Nordafrica, dalla Francia, dalla Germania e dall’Italia, quest’ultimo, a suo dire, il paese più eccitante dal punto di vista della ricchezza di storie e di generi. Purtroppo, come sappiamo, le condizioni generali di conservazione dei nitrati della prima metà del secolo scorso, non erano delle migliori, non vi era una regolamentazione internazionale e vi era una scarsa conoscenza dei rischi di decadimento del materiale delle pellicole. Così, se a Komiya va il merito di essere uno dei primi archivisti privati della storia del cinema, è anche vero che qualcuno, decenni dopo, ha dovuto compiere un’ulteriore impresa di salvataggio di tutte quelle pellicole che, presto o tardi, si sarebbero trasformate in polvere.
Ce lo insegna N. 9654, la raccolta di frammenti più significativa, curata e montata da Hiroshi Komatsu (National Film Archive of Japan) che nel 1988 apre la "scatola delle meraviglie" donatagli dal figlio di Komiya, Takashi. All’interno trova, per la maggior parte, copie lacunose di film, molte (troppe) irrecuperabili e ridotte in grave stato di decomposizione. Komatsu cerca di salvare il salvabile e taglia e cuce decine di frammenti, unendoli in quello che è diventato una specie di album di famiglia mondiale della durata di 21 minuti. Vediamo e riconosciamo volti familiari come quelli di Pina Menichelli, Diana Karenne, Gigetta Morano ed Eleuterio Rodolfi, gustiamo un repertorio di brevi scene di genere storico, onirico, idilliaco, sacro e sociale, avvicinandoci verso il finale celebrato da una rapidissima e luminosissima catena di fuochi d’artificio formata da intertitoli e didascalie. Graffi e logorazioni diventano parte della storia di questa collezione, a testimoniare tutti quei numerosi film che volevano essere salvati, ma non ce l’hanno fatta. Oggi, grazie a Tomijiro Komiya ne siamo un po’più consapevoli.