Il cinema africano è ancora sconosciuto, difficilmente visibile nelle sale europee. Nel 1966 Ousmane Sembène realizza La noire de… (La nera di…) considerato il primo vero film africano e presentato al Festival di Cannes dello stesso anno. Vincitore del “Premio Jean Vigo”, per la prima volta assegnato a un regista non francese, Sembène, riesce a portare sullo schermo l’Africa, mettendo al centro della narrazione la propria gente. La forte carica politica di questo film nasce con un intento di denuncia verso la politica postcoloniale in Africa e, visto nel 2015, mostra una storia senza tempo che racconta gli immigrati alla ricerca di fortuna, in luoghi sognati e idealizzati, ma che tradiscono immediatamente le loro aspettative.
Sembène scrive una storia semplice e lineare, ma dai tratti universali molto forti. Il film nasce da una novella contenuta nel libro Voltaïque, scritta dallo stesso regista nel 1962. Diouana è la nera di Dakar. Sogna la Francia, di diventare una di quelle donne delle riviste, dai vestiti ricercati e le scarpe di classe. Per sfuggire alla povertà si fa assumere da una donna francese come bambinaia, e così diventa la nera di proprietà di una coppia europea. Infatti, una volta arrivata in Europa, si ritrova a lavorare come domestica in una casa abitata da persone altezzose e crudeli, che la tengono letteralmente segregata. Un lavoro che sembrava un sogno, diventa in realtà un susseguirsi di umiliazioni, che culminano nella scena in cui un uomo la bacia per provare l’ebrezza di una donna nera. Durante la sua vita francese si intristisce, ripensa all’Africa e alla propria libertà, e cerca una via di fuga alle continue vessazioni.
La vita francese di Diouana scorre lentamente tra la cucina, il soggiorno, il bagno e la camera da letto, chiusa una casa fredda e dai netti contrasti. Nelle immagini dei lunghi flashback della più felice vita in Africa il bianco e nero appare più caldo e accogliente, gli spazi si aprono e si respira un senso di libertà. Il contrasto tra Senegal e Francia si concretizza nelle due figure femminili, la protagonista e la padrona. Diouana delusa rincorre il suo sogno, ma la sua padrona costantemente la riporta al suo ruolo di inferiorità, con insulti e privazioni. Un film che racconta le nove forme di schiavitù senza preoccuparsi di mascherare metaforicamente i fatti. Una denuncia costante, che si distingue soprattutto per il personaggio di Diouana, simbolo universale di un intero popolo. Considerata ignorante e incapace di comprendere il francese, viene costantemente azzittita nel suo essere, privata letteralmente delle parole. In queste condizioni la donna perde fisicamente le parole, ritrovandosi a convivere con i suoi pensieri sotto forma di voce interiore.
La storia di Diouana diventa quindi una storia universale, che Sembéne ha scritto per il proprio popolo, con un forte intento didattico. Ma anche un manifesto di denuncia delle moderne forme di schiavitù e a distanza di anni mantiene ancora la sua forza.