Tratto dall’omonimo romanzo di Lawrence Osborne, pubblicato in Italia da Aldelphi col titolo Nella polvere, The Forgiven è il quarto film dell’eclettico regista irlandese John Michael McDonagh, che è passato dal thriller poliziesco (The Guard) al dramma introspettivo (Calvario) fino alla più recente commedia nera e pulp (War on Everyone) senza mai abbandonare il suo sguardo ironico e corrosivo alla materia narrata. Sguardo che d’altra parte condivide col fratello forse più famoso, Martin, che ha vinto l’Oscar nel 2006 per il cortometraggio Six Shooter (e l’ha mancato nel 2018 per la regia del più conosciuto e apprezzato Tre manifesti a Ebbing, Missouri).
Nella esclusiva villa di un antico villaggio marocchino, la coppia angloamericana composta da Richard (Matt Smith) e Dally (Caleb Landry Jones) sta organizzando un party all’insegna del kitsch e del lusso sfrenato, che per tre giorni ospiterà un’accurata selezione di amici. Tra questi ci sono il medico David (Ralph Fiennes) e la scrittrice di libri per bambini Jo (Jessica Chastain), una stanca e annoiata coppia londinese di mezza età che, nel viaggio notturno per raggiungere la festa nel deserto, investe accidentalmente un ragazzo del luogo. Il tragico evento insinuerà una crepa nel cinico e patinato mondo del gruppo occidentale in vacanza nel continente africano e porterà David ad affrontare un ulteriore viaggio, quello per accompagnare a casa la salma del giovane. L’impervia traversata fra il deserto e le montagne dell’Atlante si trasformerà per il medico in una personale discesa agli inferi, fra gli spettri della propria colpa e la speranza del perdono.
Colpa e perdono che erano d’altra parte temi già centralissimi in Calvario - dove un prete viene avvisato dal suo assassino di avere una settimana di tempo per pentirsi dei propri peccati prima di essere giustiziato - e concetti presenti anche nella produzione letteraria di Osborne (che del film è anche executive producer), i cui personaggi sono sempre in fuga da errori sepolti nel passato. Colpe e peccati (non a caso sia l’irlandese McDonagh che il britannico Osborne condividono radici cattoliche) che il destino però riporta inevitabilmente in superficie e tende come frecce avvelenate verso una finale resa dei conti.
La novità di questo adattamento però risiede, per McDonagh, in quella nota di esotismo che è una delle cifre letterarie di Osborne (per la quale lo scrittore viene spesso paragonato a Graham Greene) e che consente di guardare alla cultura anglo-occidentale da un punto di vista leggermente sfalsato. In The Forgiven i personaggi wasp sono visti come cosiddetti farang (termine che in Thailandia, dove da anni vive Osborne, viene usato per indicare gli stranieri): in questo caso un gruppo di persone sicure di sé, dei propri principi e della propria cultura, ma delle quali la terra straniera mette in luce ombre e fragilità (altri farang che attendiamo di vedere a breve sullo schermo, per la regia di Alfonso Cuarón, sono i nuovi personaggi di Osborne tratti dal suo ultimo Il regno di vetro).
Dei tre filoni narrativi presenti nel libro, e che corrispondono ad altrettante coppie, McDonagh decide di approfondire maggiormente il primo, quello dei coniugi in crisi David e Jo, mentre lascia sullo sfondo sia le dinamiche dei ricchi e cinici Richard e Dally, sia le vicende del giovane e povero Driss e del suo compagno cercatore di fossili. Questa scelta se da un lato consente di rendere più sfaccettato e complesso il ruolo affidato al bravissimo Ralph Fiennes e di cristallizzare quello di Jessica Chastain in una affascinante e glaciale superficialità, di contro appiattisce e rende più monocordi tutti gli altri personaggi. Dall’affresco corale emergono però alcune figure secondarie nel romanzo, cui McDonagh regala una certa intensità, come il servitore Anouar, impersonato dal francese Saïd Taghmaoui, e il padre di Driss, interpretato dall’attore marocchino Ismael Kanater.
Il racconto procede come un viaggio interiore che scardina le ormai poche certezze di David e lo mette allo specchio col suo fantasma: un medico alcolizzato, cinico e sprezzante che ostenta la sua presunta superiorità intellettuale e il suo malcelato razzismo. Ma dall’esperienza nel deserto David sarà il solo che uscirà trasformato (ed in questa trasformazione sta tutta la bravura mimica e prossemica di Fiennes, che lavora al suo personaggio modellando continuamente sguardo e portamento) mentre la moglie Jo e gli amici Richard e Dally prenderanno solo coscienza delle loro solitudini.
Le scene del festino kitsch e barocco - dove al vario bestiario umano (l’analista finanziario, la regista, la fotografa di moda, la giovane starlet, il vecchio milionario) si mescolano un tripudio di pietanze, arredi e musiche a tema oltre che fiumi di droghe e alcol - danno vita ad un piccolo mondo sospeso e irreale. A questo McDonagh contrappone quello ben più reale e inospitale del deserto, attraverso il quale David viaggia per raggiungere la famiglia del ragazzo morto. Alle immagini di strabordante pienezza del party fanno da controcanto quelle di assoluto vuoto del deserto, alla protezione del buio si contrappone la spietatezza del sole, alla ricchezza della casa di Richard la povertà quasi insostenibile di quella di Driss, all’opulenza del cibo nella villa una mela condivisa sul pavimento dell’umile casa.
Abbandonando l’ironia un po’ grossolana e volutamente sopra le righe e il linguaggio molto esplicito del suo ultimo War on Everyone (che però mescola scene grottesche a inaspettati momenti lirici) McDonagh passa in The Forgiven a un umorismo più sottile e tagliente e a un vocabolario più sofisticato ma politicamente scorretto, che trasformano spesso la commedia cinica in dramma e tentano di avvicinarla all’anima letteraria di Osborne, pur non riuscendo forse ad afferrarne del tutto le zone d’ombra e la complessità.
Pensiamo all’uccisione del ragazzo, che viene prima tenuta nascosta agli ospiti da David per non rovinare il party ma viene poi profanata, proprio nel momento del trasporto della salma, con un fastoso spettacolo pirotecnico oppure alle scene in cui Richard e i suoi ospiti parlano con leggerezza di supremazia bianca davanti alla servitù locale ma si affidano poi ai loro consigli e alla loro protezione per le questioni pratiche più importanti. Lungi però dal voler esaltare una cultura a discapito dell’altra, McDonagh mostra anche le contraddizioni dei personaggi locali: dall’autista che odia il caldo e vorrebbe vivere in Svezia alla corsa dei ragazzi ai fossili da vendere ai turisti - che diventa al tempo stesso fonte di guadagno e maledizione di un’attività senza futuro - per approdare infine al concetto di giustizia del padre di Driss, che si tinge di sfumature di sangue.
In The Forgiven niente e nessuno si salva, non una cultura, non dei valori, non i personaggi; però nelle ultime scene McDonagh apre per David uno spiraglio: la presa di coscienza, il riconoscimento della propria colpa e la ricerca di perdono rappresentano già in qualche modo una forma di salvezza.