“Il sipario è calato. Lo spettacolo è finito. Nessuno è venuto a trovarmi. Sono salito nel mio camerino, solo. Che strana sensazione, quella di essere ancora truccati e restare così, a "metà", sospesi tra il teatro e la vita "laica". (…) Ma come “fare il teatro” senza pensarlo, senza porsi delle domande? Come stare in mezzo alla gente e non guardarla e non chiedersi, non interrogarsi sul teatro e sul mestiere dell’attore? Su quello che il teatro è? Perché è? Perché lo si fa?” .
Queste le parole scritte da Jouvet nel 1943, a Medellin. Domande alle quali, ancora oggi, Servillo cerca una risposta. E lo fa portando in scena lo spettacolo teatrale Elvira, ispirato a sette lezioni del suo maestro tenute al Conservatorio d’Arte Drammatica di Parigi nel 1940. Una rappresentazione complessa quella di incarnare attori, realmente esistiti, alle prese con la preparazione di donna Elvira nel IV Atto del Don Giovanni.
Ma presentare al pubblico uno spettacolo studiato e provato numerose volte non è sufficiente per far capire la complessità del teatro. È per questo che Massimiliano Pacifico segue Toni Servillo dietro le quinte in Il teatro al lavoro. Spia, senza mai peccare d’invadenza, le loro prime letture del testo seduti attorno a un tavolo. Le loro prove in costume. Gli insegnamenti e i rimproveri, quasi paterni, di Servillo verso i giovani attori della sua compagnia. L’emozione e la paura. Le crisi e i successi. Pacifico ci fa vedere come l’occhio della macchina da presa riesca, ancora una volta, ad arrivare negli angoli più piccoli e nascosti della realtà, per poi mostrarli in tutta la loro magia sul grande schermo. E il regista riesce, con il suo film, a portare al cinema il mistero del teatro.
Assieme alla compagnia di Toni Servillo, anche noi siamo in tournée per i teatri d’Europa. Partendo da Venezia, per poi andare nella patria del regista teatrale, Napoli. Proseguire su, verso Milano e arrivare, infine, a Parigi. Ma le lezioni, nonostante le numerose repliche, non finiscono mai. In particolare per la prima attrice, Petra Valentini, continuamente spinta, dal regista teatrale, a non perdere la tensione del personaggio. Neanche e soprattutto durante le pause o le camminate in scena. “È compito dell’attore trovare un sentimento velocemente”, spiega Servillo affermando che l’esperienza del teatro sia un perdersi per ritrovarsi, scoprendo qualcosa in più su sé stessi.
E se il regista teatrale ha la capacità di comunicare a parole l’insondabile mistero dell’arte di recitare, è il regista cinematografico che ci fa vedere concretamente come l’essere attore sia un lavoro e uno studio continuo. Primi piani e dettagli inquadrati da Pacifico ci aiutano a capire lo sforzo mentale ed emotivo dell’intera compagnia. Persino di un maestro con una decennale esperienza come Servillo, il quale ha momenti di crisi in cui non ha voglia di provare perché “non si sopporta” e continua a sbagliare.
Il film di Pacifico è il tentativo di “mischiare i pubblici del cinema e del teatro”. Parole dello stesso Servillo che, sempre con il suo sigaro in mano, dallo schermo del Cinema Lumière di Bologna è arrivato in sala in carne e ossa dopo la prima visione di Il teatro al lavoro, il 23 gennaio. Lo scopo di entrambi i registi è, infatti, quello di far comprendere a quanta più gente possibile come il teatro sia la rappresentazione della realtà. “Il compito dell’attore è quello di organizzare questo meraviglioso disordine che è dentro ognuno di noi. Di ordinare la moltiplicazione del Sé”, spiega l’attore ai tanti giovani che rimangono in sala per continuare ad ascoltare, sempre, le sue lezioni. “Dopo un bello spettacolo ti viene voglia di fare l’amore, di supervivere!”.
Questo film “matrioska” è, quindi, un invito per tutti noi a riscoprire ciò che da troppo tempo, forse, è stato oscurato dal cinema e dalla televisione. E a noi, oramai, non resta che accettare. Non ci resta che uscire di casa e andare a teatro. Sederci sulle poltrone rosse, ricoperte di velluto e scoprire chi e cosa saremo dopo lo spettacolo.
Le luci si abbassano. Scende il silenzio. Il sipario si apre. E si dà il via a un racconto che, come promesso, parla proprio di ognuno di noi.