Questo titolo prospetta già interessanti scenari possibili. Sale piene di curiosi o reazione avversa perché la parola virus è tristemente diventata parte della nostra quotidianità? È ancora presto per dirlo. Il nuovo film di Costanza Quatriglio punta sicuramente a questa ambivalenza per far parlare di sé, ma con cognizione di causa. Dal prevedibile equivoco che possa trattarsi di un film che tratta del Covid-19, questo in realtà racconta del processo giudiziario che ha visto come protagonista la ricercatrice italiana Ilaria Capua (nel film rinominata con l’alias Irene Colli), accusata di aver venduto a caro prezzo e illecitamente dei campioni del ceppo dell’aviaria più aggressivo nei primi anni 2000. Una vicenda molto lunga, che si è risolta con l’assoluzione della dottoressa Colli da tutti i capi di accusa, tra cui quello di tentata epidemia.

Il film è costellato di situazioni che ci rimandano drammaticamente all’oggi, alla situazione ancora non risolta della pandemia da Covid e ai tanti complotti che siamo abituati a sentire su tutti i media: lo spettro di un possibile piano da parte di istituti di ricerca, in combutta con le case farmaceutiche, di liberare un virus ad alta contagiosità per poter poi vendere dosi di vaccino è una storia tristemente sentita e risentita, nei film come nella realtà di oggi. Trafficante di virus però non si ferma unicamente su questa indagine, ma tratta in maniera stratificata e coerente di numerosi altri aspetti: la scarsità di risorse e infrastrutture adibite alla ricerca scientifica in Italia, il ruolo delle ricercatrici in una comunità scientifica molto maschile, la convivenza tra i propri obiettivi professionali e le proprie peculiarità caratteriali.

Ilaria Capua, interpretata da Anna Foglietta, ci viene presentata in diversi momenti della sua vita, dagli anni ’90 fino al 2016, e la vediamo crescere uscendo dalle proprie ingenuità e diventando man mano sempre più diretta, dal ragionamento chiaro e pulito, a tratti forse arrogante, ma perché convinta delle proprie posizioni, sia per quel che riguarda la ricerca che il contesto in cui questa si svolge. Una persona capace di prendere l’iniziativa, sicura di sé e pronta a esporsi in prima fila per la sua causa, al punto di candidarsi come deputata della Repubblica. Una vita contrassegnata da tensioni, il film ci parla soprattutto di questo: un lavoro vitale, in cui la ricerca abbraccia il dovere civico, in cui la forza del carattere crea inimicizie, ma permette di portare a casa incredibili risultati, sebbene infine la fuga dall’Italia appare sempre più essenziale, a maggior ragione quando oltre al proprio direttore ci si mette la stampa e la procura.

Il film prende le parti della dottoressa Capua, ma senza appiattirla sull’idea della martire immolata per la patria, anzi. Con coerenza e destrezza, Costanza Quatriglio ritaglia i giusti spazi del racconto per descriverci i suoi difetti, l’intemperanza, il desiderio di potere, la caparbietà nelle azioni e nel linguaggio che rendono umana una figura schiacciata nelle le pagine dei quotidiani tra successi della ricerca e violente accuse. Ed emerge il percorso di questa donna, come negli anni impara ad accettare il proprio atteggiamento, ad ascoltarsi, a trasferire gli insegnamenti che apprende nel lavoro nel campo della sua vita privata, e viceversa.

La ricerca di un equilibrio che Costanza Quatriglio dimostra di avere in questa libera trasposizione del libro di Ilaria Capua, Io, Trafficante di virus, inserendosi in una produzione mainstream sostenuta da Medusa, in cui sono evidenti i difetti derivati dalla produzione televisiva, come le musiche enfatiche e la semplicità delle ambientazioni, riuscendo però a sostenere con una ottima sceneggiatura un film d’inchiesta poderoso, interessante, comprensibile, che apre la mente sulle questioni riportate invece di puntare tutto sul soddisfacente, definitivo finale chiarificatore.